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Tutti i falsi miti dell’obesità infantile

I consigli della Fondazione Italiana per la Lotta all’Obesità Infantile

imagesLa Fondazione Italiana per la Lotta all’Obesità Infantile, nasce con l’intento di portare avanti un percorso rieducativo, alimentare e comportamentale dei bambini e delle loro famiglie che possa arrestare il trend positivo (+2% annuo) dell’ incidenza del sovrappeso e dell’obesità infantile nel nostro paese e nel mondo. Dai dati di Okkio alla salute del 2012 risulta che il 22,1% dei bambini di 8-9 anni è in sovrappeso rispetto al 23,2% del 2008/09 (-1,1%) e il 10,2% in condizioni di obesità. Nel 2012 l’eccesso ponderale riguarda complessivamente il 32,3% dei bambini della terza elementare. Le percentuali più elevate di sovrappeso e obesità si riscontrano nelle regioni del Centro-Sud: in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata l’eccesso ponderale riguarda più del 40% del campione, mentre Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige sono sotto il 25%.

Essendo il risultato di diverse cause più o meno evidenti che interagiscono tra loro, l’obesità infantile ha una genesi multifattoriale; in primo luogo una eccessiva/cattiva alimentazione, legata o meno ad una ridotta attività fisica e a fattori di tipo genetico/familiare; rari i casi ad alterazioni ormonali quali ipotiroidismo o disfunzioni surrenali.Un’indagine multiscopo realizzata dall’ISTAT nel 2000 dimostra che circa il 25% dei bambini ed adolescenti in sovrappeso ha un genitore obeso o in sovrappeso, mentre la percentuale dei bambini sale a circa il 34% quando sono obesi o in sovrappeso entrambi i genitori. Ecco perché è necessaria un’ educazione alimentare che interessi tutta la popolazione e non solo regimi restrittivi per i bambini con problemi di peso. Educazione che tenga conto delle differenze ambientali e culturali dei contesti in cui le persone vivono e che sia semplice da osservare ed equilibrata nel contenuto.Abbiamo redatto un press kit che risponde ad una serie di interrogativi sorti dagli articoli sull’alimentazioni delle principali testate italiane negli ultimi due anni. Abbiamo constatato,infatti, che spesso la notizia viene trasferita senza un’ adeguata riflessione sugli effetti che può avere anche sulla popolazione generale e quindi sana.Ci siamo resi conto che la maggior parte della gente segue diete senza averne realmente bisogno mentre le persone in reale sovrappeso o obese non ricevono supporto adeguato. Con la conseguenza che non si cura chi ne avrebbe bisogno (specialmente per allontanare il rischio di patologie croniche legate al sovrappeso) e si apre a squilibri e carenze nutrizionali per motivi meramente ‘estetici’.

L’obesità nella sua accezione deve essere considerata una patologia metabolica che in alcuni casi ha tra le sue cause un disturbo alimentare.I valori dell’inattività fisica e dei comportamenti sedentari mostrano un piccolo miglioramento, pur rimanendo elevati: il 16% dei bambini pratica sport soltanto per un’ora a settimana o anche meno, rispetto al 25% del 2008-9; il 17% non ha fatto attività fisica il giorno precedente l’indagine (quattro anni prima erano il 26%); il 42% ha la TV in camera (-6%), il 36% guarda la TV e/o gioca con i videogiochi per più di 2 ore al giorno (-11%) e solo un bambino su 4 si reca a scuola a piedi o in bicicletta.

Sovrappeso, obesità e stili di vita non salutari rappresentano una sfida rilevante per la sanità pubblica. In particolare, la loro diffusione tra i bambini è preoccupante in quanto predittori di future condizioni di salute sfavorevoli, considerando l’attuale quadro epidemiologico caratterizzato dall’alta prevalenza delle malattie cronico-degenerative. A ciò si aggiunge il fatto che i genitori non sempre sono consapevoli dei problemi relativi al peso dei propri figli: tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 38% non ritiene che il proprio figlio sia in eccesso ponderale.

(Progetto “Okkio alla Salute”, 2012)

IL PROBLEMA DELLE DEFINIZIONI E LA COMUNICAZIONE TERRORISTICA

Alcune testate giornalistiche talvolta veicolano informazioni fuorvianti, spesso sulla base di dati di studi sperimentali o modelli non umani che prevedono un elevato rischio di ‘bias’. Meno spesso il sovrappeso e l’obesità vengono presentate come malattie con una origine complessa e dipendente da numerosi fattori, nutrizionali ma anche psicologici, comportamentali, sociali. La semplificazione e l’orientamento ad individuare un solo colpevole però non è funzionale a risolvere un problema che spesso necessita di un vero e proprio intervento medico e di un protocollo in cui si agisca su diversi comportamenti. Un importante giornale italiano ha di recente citato  una ricerca dell’Università dello Utah in cui un gruppo di topolini da laboratorio è stato alimentato con una dieta sana a cui è stato aggiunto il 25% di zucchero per un periodo di 32 settimane e ha concluso che i topi nutriti con questa dieta speciale NON erano diventati obesi e non mostravano disturbi metabolici, ma nelle femmine la mortalità era raddoppiata e nei maschi era diminuita la capacità di procreare. Traslato su un modello umano, per avere degli effetti negativi, una persona dovrebbe assumere una dieta con il 25% di zuccheri aggiunti per circa 25 anni. Uno studio che non può essere presentato senza un commento che lo illustri nelle sue implicazioni e che sottolinei come i due modelli (murino e umano) non possano essere paragonati. Sostanzialmente qualsiasi alimento consumato in ECCESSO può essere dannoso per l’organismo.

SI PUO’ PARLARE DI “DIPENDENZA” DA UN NUTRIENTE?

La ‘dipendenza’ è definita come uno stato in cui l’organismo sviluppa una ‘tolleranza’ nei confronti degli effetti di una sostanza per cui il soggetto deve assumere dosi sempre maggiori per ottenere l’effetto desiderato. Il tutto a partire da una droga, ossia una sostanza psicoattiva che altera lo stato mentale.

L’organismo invece è programmato per cercare cibi utili alla sopravvivenza: il sale perché regola l’equilibrio elettrochimico, lo zucchero perché fornisce energia muscolare e cerebrale, i grassi come fonte di energia di riserva ecc.

IL NUOVO MODELLO DI INDAGINE EPIDEMIOLOGICA SUI ‘MODELLI DIETETICI’

I nutrienti e gli altri elementi biologici che formano i cibi interagiscono tra loro in maniera sinergica e complessa. Ogni alimento infatti contiene i cosiddetti micronutrienti (vitamine, minerali, acidi grassi) e bio componenti come antiossidanti, composti fenolici, fitoestrogeni che interagiscono tra loro. Diverse autorità sanitarie internazionali e gruppi di studio sostengono che il nuovo trend di ricerca debba essere più correttamente orientato all’analisi dei cosiddetti ‘modelli dietetici’.

(Wirfält E. et al, What do review papers conclude about food and dietary patterns?, Food and Nutrition Research,2013, 57. doi: 10.3402/fnr.v57i0.20523)

LE RACCOMANDAZIONI USA VANNO BENE PER TUTTO IL MONDO?

Ovviamente no, la dieta degli adulti americani, infatti, è molto diversa da quella europea e italiana in particolare: il 37,1% degli zuccheri aggiunti proviene dal consumo di bevande gassate, il 13,7 da snack a base di cereali, l’8,9% da bevande alla frutta, il 6,1% da dessert a base di latticini e il 5,8% da caramelle. Negli Stati Uniti l’apporto di calorie fornite essenzialmente dallo zucchero è di circa 500 calorie al giorno, dato nemmeno lontanamente sovrapponibile alla quota europea. (inserire quota Italia)

VIETARE LE CARAMELLE AI BAMBINI?

Uno studio autorevole pubblicato su Journal of Human Nutrition and Dietetics in cui un ampio gruppo di bambini di 10 anni  è stato seguito dal 1973 al 1984 per valutare se l’assunzione di caramelle e cioccolatini, fosse predittiva di aumento di peso o rischio cardio-vascolare quando fossero diventati giovani adulti. Le conclusioni sono state che questi livelli di consumo non costituiscono un rischio per l’aumento di peso in età adulta o per lo sviluppo di problemi cardiovascolari.

(O’Neil C. E. et al, Candy consumption in childhood is not predictive of weight, adiposity measures or cardiovascular risk factors in young adults: the Bogalusa Heart Study, Journal of Human Nutrition and Dietetics, 2013, doi: 10.1111/jhn.12200.)

LE LINEE GUIDA SUL TRATTAMENTO DELL’OBESITÀ

Un grammo di grassi fornisce 10 calorie, un grammo di proteine ne apporta ben 7 e i tanto vituperati carboidrati ne apportano solamente 4 per grammo.Inoltre, numerose ricerche hanno evidenziato che le persone che assumono un regime alimentare ricco di carboidrati tendono naturalmente a mangiare cibi grassi e viceversa.

(Standard Italiani per la Cura dell’Obesità – SIO-ADI 2012-2013)

IL “PARADOSSO AUSTRALIANO”

Nonostante negli ultimi vent’anni il consumo di zucchero e dolcificanti sia diminuito del 20%, l’obesità nel continente australiano è aumentata del 300% portando i ricercatori a coniare il termine ‘Paradosso Australiano’.

LIMITAZIONI SPECIFICHE? SOLO PER SOGGETTI PREDISPOSTI O CHE HANNO GIÀ SVILUPPATO ALTERAZIONI METABOLICHE, SOVRAPPESO O OBESITÀ

Solo il 10% della popolazione introduce il  25% delle calorie giornaliere dallo zucchero, con aumento del rischio cardiovascolare che aumenta del 38% rispetto ai ‘moderati’. E’ necessario fare degli interventi mirati solo sui soggetti che presentano elevati profili di rischio e non sulla popolazione generale.

(Yang Q. et al, Added Sugar Intake and Cardiovascular Diseases Mortality Among US Adults, Jama Internal Medicine, 2014, doi: 10.1001/jamainternmed.2013.13563)

UN MONDO DOMINATO DALLE DIETE – L’INFORMAZIONE SULLA ALIMENTAZIONE È SPESSO SENZA CONTROLLO, TROPPO GENERICA E SI RIVOLGE ALL’INTERA POPOLAZIONE.

la maggior parte delle ‘diete’ è seguita più o meno a lungo da soggetti sani che non ne avrebbero alcun bisogno. Quindi si verifica il paradosso di determinare pericolosi squilibri nutritivi in soggetti sani.

CONCLUSIONI: NELL’ALIMENTAZIONE DELLA POPOLAZIONE GENERALE BASTANO EQUILIBRIO (NELLE QUANTITÀ), VARIETÀ E BUONSENSO

In un individuo sano le evidenze scientifiche mostrano che un regime alimentare a base di carboidrati (dal 55% al 60-70% per chi fa esercizio fisico regolare/quotidiano), pochi grassi (20%) e circa il 12-15% di proteine e frutta e verdura rimane magro senza sforzi.

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