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Tumori, meno danni con radiazioni mirate

Dalla collaborazione tra l´Unità Operativa di Radioterapia dell´Università Cattolica di Campobasso e l´Unità Operativa di Neurochirurgia dell´IRCCS Neuromed di Pozzilli, coordinata dal Prof. Giampaolo Cantore, è nata una sperimentazione su pazienti operati per una particolare forma di tumore cerebrale. Questa sperimentazione ha riguardato la possibilità di aggredire con maggiore energia questi tumori, senza per questo aumentare il rischio di danni ai tessuti circostanti. La ricerca è stata pubblicata sull´International Journal of Radiation Oncology, Biology, Physics, la rivista scientifica leader della radioterapia mondiale.

Il tumore preso di mira dai ricercatori della Cattolica e della Neuromed è uno dei più temibili oggi conosciuti dalla medicina: il glioblastoma multiforme, che rappresenta la forma più grave nella categoria dei gliomi maligni, a loro volta i più diffusi tumori cerebrali negli adulti. La terapia standard in questi casi prevede l´intervento chirurgico, per rimuovere il più possibile la massa tumorale, seguito dall´uso di radiazioni dirette contro il cancro e da cicli di chemioterapia con temozolomide, un farmaco capace di danneggiare il DNA delle cellule maligne.

Ma quando si usano le radiazioni, il rischio sempre presente è quello di danneggiare non solo il tumore, ma anche i tessuti sani circostanti. E, nel caso di una zona delicata come il cervello, risparmiare danni alle zone immediatamente vicine diventa una necessità assoluta. Ecco perché alla Cattolica di Campobasso viene usata la radioterapia ad intensità modulata (IMRT nella sigla inglese) che, attraverso una serie di fasci di radiazioni ad intensità anche diversa tra loro, permette di concentrare l´attacco in un´area estremamente precisa, individuata precedentemente grazie alla Tac ed altri metodi di indagini.

In questo modo è possibile aumentare la dose rivolta verso il tumore con maggiore sicurezza per i tessuti vicini. Il punto originale dello studio condotto dalla Cattolica e dalla Neuromed, alla quale ha collaborato anche la neurochirurgia dell´Ospedale Cardarelli di Campobasso, è proprio la quantità di radiazioni sopportabile. I ricercatori dell´Unità Operativa di Radioterapia hanno infatti testato la possibilità di elevare le dosi, associando al trattamento il farmaco temozolomide. 19 pazienti colpiti da glioblastoma sono stati divisi in tre gruppi, ciascuno dei quali ha ricevuto una diversa dose totale di radiazioni, frazionata in 25 trattamenti nell´arco di cinque settimane.

I risultati hanno dimostrato che è possibile usare la dose più elevata, 65 "Gray" (l´unità di misura per l´energia assorbita, Gy nella sigla inglese) senza che aumentino gli effetti collaterali. "Questi dati – dice Alessio Morganti, direttore dell´Unità di radioterapia – suggeriscono che un trattamento radioterapico a 65 Gy concentrato nel tempo, associato a temozolomide, è sicuro per i pazienti.

In termini pratici, poter usare dosi maggiori significa ottenere effetti positivi dalla terapia e accorciare il tempo in cui i pazienti devono subirla. In questo modo si ha una diminuzione dello stress, sia per loro che per i familiari, con un complessivo miglioramento della qualità di vita". Ciò a cui ora i ricercatori di Campobasso e Pozzilli puntano è un ulteriore innalzamento delle dosi. "Visti i risultati ottenuti e gli scarsi effetti collaterali osservati – continua Morganti – stiamo programmando un nuovo studio in cui proveremo dosi ancora più elevate".