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Tumore al seno: la terapia “accelerata” funziona

Il 94% delle pazienti guarisce con tempi di cura più brevi

tumori-al-seno“La sopravvivenza aumenta del 5% quando la chemioterapia, dopo l’intervento chirurgico, è somministrata ogni due settimane rispetto allo schema standard a intervalli di 21 giorni. Diminuisce anche il rischio di tossicità”. E’ quanto afferma il professor Francesco Cognetti del Regina Elena di Roma rispetto alla cosiddetta terapia “accelerata” per combattere il tumore al seno.

Nelle donne colpite, è più efficace se somministrata in tempi brevi. Precisamente ogni due settimane invece delle tre “standard”, per un totale di 4 cicli. Lo dimostra uno studio italiano di fase III (GIM 2) che ha coinvolto 2091 donne, sottoposte a chemioterapia dopo l’intervento chirurgico, per diminuire il rischio di recidive e di metastasi. Il lavoro è presentato oggi in sessione plenaria al “San Antonio Breast Cancer Symposium”, il più importante congresso mondiale sul tumore del seno, dal professor Francesco Cognetti, direttore dell’Oncologia Medica dell’Istituto Regina Elena di Roma, uno dei 91 centri coinvolti nella sperimentazione.

La sopravvivenza a 5 anni nel regime a 14 giorni è stata pari al 94% rispetto all’89% raggiunto dal gruppo che ha ricevuto la cura ogni 21 giorni – spiega il professor Cognetti – Si tratta di una differenza significativa del 5%. È la prima volta che, confrontando questi due schemi di somministrazione in adiuvante, cioè in pazienti già operate, vengono ottenuti risultati così positivi. Il vantaggio emerso nel modello ‘accelerato’, il cosiddetto regime ‘dose dense’ è evidente, perché un maggior numero di donne guarisce, con una minore esposizione al rischio di tossicità”.

L’altro obiettivo dello studio promosso dal Gruppo Italiano Mammella, che ha previsto un follow up di 7 anni, è stato quello di confrontare non solo i tempi di somministrazione, ma anche due tipi di combinazione di farmaci: il trattamento basato su tre chemioterapici (FEC) con lo schema standard a due (EC).

Abbiamo paragonato il regime FEC (Fluorouracile, Epirubicina, Ciclofosfamide) – conclude il professor Cognetti – con la terapia comunemente usata, cioè la sequenza EC (Epirubicina, Ciclofosfamide). L’aggiunta di un terzo farmaco, fluorouracile, non migliora la sopravvivenza libera da malattia né quella globale. I due schemi pertanto non differiscono in termini di efficacia, però con la ‘doppietta’ le pazienti evidenziano meno effetti collaterali”.

Per il 2013 si stimano circa 48.000 nuovi casi di cancro del seno nel nostro Paese. La neoplasia della mammella è la più frequentemente diagnosticata nelle under 50 (41%), nella fascia d’età intermedia (50-69 anni, 36%) e in quella più anziana (≥70 anni, 21%).