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Trattamento delle malattie reumatiche e tubercolosi: un rischio concreto?

Ogni anno in Italia sono notificati al Ministero della Salute circa 4.500 nuovi casi di tubercolosi, ma si tratta di un dato sottostimato, perché non tutti i malati ricevono una diagnosi. Con un’incidenza che non raggiunge i dieci casi per 100mila residenti, la tubercolosi resta in Italia una malattia piuttosto rara, che però desta preoccupazione, soprattutto in presenza di patologie reumatiche.
“Il problema si è riaperto in tempi recenti, negli ultimi 10-15 anni con l’impiego dei farmaci biologici, certamente molto efficaci nel dominare le manifestazioni delle tre patologie reumatiche infiammatorie più importanti, l’artrite psoriasica, la spondilite anchilosante e l’artrite reumatoide” afferma il Dottor Fabrizio
Cantini, Direttore dell’ U.O.C. di Reumatologia presso l’Ospedale Misericordia e Dolce di Prato, Centro di riferimento regionale per le Malattie Reumatiche Rare. “Tuttavia – prosegue il Dottor Cantini – questi farmaci hanno un effetto favorente la riattivazione di un processo tubercolare latente e la tubercolosi, che pensavamo fosse un problema ormai risolto, è tornata ad essere un argomento di stretta attualità anche per i reumatologi”.
“Il primo processo infettivo del bacillo di Koch, ovvero del bacillo della tubercolosi, si verifica
tendenzialmente nell’infanzia o adolescenza ma non sotto forma di malattia conclamata, bensì rimane
all’interno dell’organismo come se fosse ‘murato vivo’ nel sistema linfatico” spiega il Dottor Cantini, che
continua “I farmaci biologici hanno un’azione favorente la riattivazione di questo bacillo, bloccato ma vivo,
e quindi favoriscono la riattivazione di una vera malattia tubercolare.”
Allora come risolvere e prevenire la riattivazione di una tubercolosi latente?
“Esistono delle linee guida ben standardizzate in tutto il mondo che raccomandano di mettere in opera
determinate procedure di screening per la tubercolosi latente” risponde il Dottor Cantini che specifica “Il
problema deve essere sempre tenuto in conto da parte del reumatologo che prima di trattare il paziente
con farmaci biologici, gli anti-TNF in particolar modo, deve procedere con test di verifica e in caso di
positività interverrà con ulteriori raccomandazioni per prevenire il rischio di tubercolosi attiva.”
Prima di somministrare un farmaco anti-TNF tutti i pazienti devono quindi essere sottoposti a dei test in
grado di evidenziare il contatto con il bacillo tubercolare, come il test cutaneo con tubercolina (TST) e il
test di rilascio di interferone-gamma (IGRA).
“Ma non tutti i farmaci anti-TNF per la terapia dell’artrite reumatoide e di altre patologie infiammatorie
reumatiche, comportano lo stesso rischio di riattivazione della TBC”, conferma il prof. Cantini. “I dati di
vari studi dei registri nazionali ed internazionali mostrano che gli anti-TNF monoclonali, come infliximab e
adalimumab, incrementano maggiormente e significativamente il rischio di riattivazione tubercolare
rispetto a etanercept, proteina di fusione.”
Un’ulteriore conferma arriva dai risultati di una survey nazionale realizzata dall’Università la Sapienza di
Roma nei primi mesi del 2012 su un campione di circa 400 reumatologi per conoscere l’approccio dei
reumatologi italiani all’individuazione della tubercolosi latente e della riattivazione della tubercolosi nei
pazienti trattati con farmaci anti-TNF, presentata preliminarmente dal Dottor. Cantini nel corso del
Convegno ‘Patient first’ che si è recentemente svolto a Roma.
Il questionario indagava diversi aspetti della pratica clinica, tra cui l’uso delle raccomandazioni, la
disponibilità dei test, il numero di pazienti attualmente trattati con anti-TNF e i casi di TBC attiva registrati
negli ultimi 10 anni in pazienti in terapia con tre specifici farmaci anti-TNF.

Tra gennaio 2002 e il 31 marzo 2012 39.353 pazienti hanno ricevuto almeno un farmaco anti-TNF e in 317
pazienti (0,8%) si è verificata la riattivazione della TBC.
A conferma di numerosi studi internazionali, l’indagine italiana dimostra che l’impiego di etanercept
rispetto agli anticorpi monoclonali riduce significativamente il rischio di riattivazione della TBC latente.