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‘Se effetti collaterali vanno da nausea a mal di stomaco, alzando dosaggi si rischiano danni neurologici”Tanti farmaci sondati, problema è quando finiscono in pasto al pubblico e scatta corsa all’acquisto sul web’

Milano, 17 set. (Adnkronos Salute) – “Quella dell’ivermectina è una lunga storia, risale a un anno fa più o meno, quando si proponevano per trattare Covid-19 una quantità enorme di farmaci”. Il contesto era quello post prima ondata pandemica, i medici si erano trovati ‘disarmati’ davanti a un virus sconosciuto, la ricerca si era messa subito in moto. “Tra le molecole proposte è venuta a galla anche l’ivermectina per una ragione molto semplice: venivano presi in considerazione i farmaci che avessero dimostrato in vitro un’attività contro il virus. L’ivermectina – farmaco che viene utilizzato prevalentemente in veterinaria ma anche nell’uomo per le infestazioni da Strongyloides, un verme – aveva dimostrato di possedere questa attività antivirale. Il problema, però, è che purtroppo non è usabile, perché la dose che sarebbe efficace sul virus in vitro è circa 35 volte più alta di quella utilizzabile in vivo” nell’uomo.

A parlare è Francesco Scaglione, docente di farmacologia all’università degli Studi di Milano, responsabile del Centro antiveleni dell’ospedale Niguarda del capoluogo lombardo, che – dopo il clamore sollevato ultimamente su questa molecola e su altre presunte cure che neutralizzerebbero il coronavirus Sars-CoV-2, spinte sui social in particolare da chi osteggia il vaccino – all’Adnkronos Salute ricostruisce le tappe che hanno portato a stroncare l’approccio. “Io me ne ero occupato all’epoca – ricorda – perché per la Regione Lombardia facevo parte di un gruppo che analizzava i vari farmaci e avevamo anche mandato una specie di memoria all’Agenzia del farmaco Aifa, perché il problema dell’ivermectina è che si tratta una via impraticabile contro Covid. Quando ho fatto l’analisi e ho calcolato la dose che bisognava utilizzare ho detto subito: è impossibile”.

Non solo, aggiunge Scaglione: “Anche considerando stratagemmi come per esempio somministrarla in soluzione alcolica perché venga assorbita un po’ di più è difficilissimo – quasi impossibile – raggiungere concentrazioni utili. Ci sono state anche delle proposte di studi e protocolli in Italia e in giro per il mondo. E’ stata provata, ma risultati zero. Fin qui tutto bene. Poi però quando tutto questo finisce in pasto al pubblico, la gente magari pensa di comprare questi farmaci su Internet”. Come è successo ad esempio negli Usa, dove la Fda ha lanciato un allarme proprio a seguito di segnalazioni di casi di pazienti che hanno avuto bisogno di cure, compreso ricovero, dopo automedicazione con ivermectina destinata al bestiame.

In Italia “per fortuna la gente non si avventura tanto nel prendere farmaci. A noi non risultano casi di intossicazione da ivermectina – riferisce l’esperto parlando dell’esperienza del centro antiveleni milanese – Le intossicazioni più frequenti da medicinali in generale sono per le benzodiazepine. Durante Covid ci sono stati sì fenomeni di intossicazione da disinfezione ambientale, e c’è gente che ha assunto farmaci anche senza prescrizione ma non a dosaggi da intossicarsi”.

Del resto per usare l’ivermectina in chiave anti-Covid ci sarebbe bisogno “di quantità davvero elevate e le compresse che ci sono in circolazione sono da 200 mg. E’ una follia ricorrere al farmaco veterinario, che negli animali si somministra in vena – avverte Scaglione – Io ho usato l’ivermectina in vena in un caso sull’uomo, e ho anche pubblicato un lavoro al riguardo, per un’infestazione polmonare da vermi in un paziente con Hiv. L’ho usata chiedendo il permesso ovviamente e la patologia si è risolta, ma a dosaggi di gran lunga inferiori a quelli che servirebbero per Covid: 200 mg in vena anziché per via orale. Per combattere Covid bisognerebbe arrivare a 4-5-6 grammi, è impensabile insomma. E può produrre effetti collaterali importanti: se gli effetti avversi dell’ivermectina vanno dalla nausea al vomito, dalla diarrea al mal di stomaco, quando si alzano i dosaggi ci sono anche danni neurologici”.

Altro farmaco che si è guadagnato i riflettori ancora prima dell’ivermectina è stato l’idrossiclorochina: “Sulla scorta di informazioni che arrivavano dalla Cina è stata esplorata anche questa via – ricorda il farmacologo – ma anche qui è sempre una questione di dose: per la malaria si usa a un massimo di 600 mg al giorno, per Covid bisognerebbe salire a 1 grammo e mezzo, o due, col rischio di effetti collaterali cardiaci. Molti di questi farmaci proposti che in vitro si è visto potrebbero avere effetto, incluso l’azitromicina, richiederebbero concentrazioni molto al di sopra rispetto a quelle che si possono usare per l’uomo. Con ivermectina, poi, bisogna andare molto alti ed è difficile che uno si prenda 8-10-20 compresse. Non sono impiegabili questi prodotti – conclude Scaglione – tanto è vero che poi anche le agenzie del farmaco europea (Ema) e italiana (Aifa) e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno detto che non sono utili”.