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Sanità: infermiere di famiglia già solida realtà in 3 regioni

Roma, 17 lug. (Adnkronos Salute) – L’infermiere di famiglia o di comunità, figura appena istituita con il decreto Rilancio, è già una solida realtà in 3 regioni italiane – Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia – ed è al centro di diverse sperimentazioni ed esperienze sul territorio, spiegano all’Adnkronos Salute fonti della Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi). Nel decreto approvato ieri si prevede che aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale assegnino incarichi a 9.600 infermieri (8 unità ogni 50.000 abitanti).

Le Regioni ora dovranno rendere operativo tutto questo, articolando precisamente funzioni e organizzazione dell’infermiere che lavora su territorio (di comunità o di famiglia, definizioni che differiscono per qualche sfumatura, ma sonno sostanzialmente sinonimi). Ma i modelli ci sono. La Toscana, per esempio, ha molto investito su questo tema negli ultimi tempi: gli infermieri di famiglia fanno parte di micro équipe con i medici di famiglia. “Non si tratta – precisano dalla Fnopi – dell’infermiere che dipende dal medico, ma di professionisti che collaborano per le mansioni assistenziali di competenza”.

In Piemonte – dove, dopo le prime sperimentazioni, la figura dell’infermiere di famiglia è stata estesa a tutto il territorio dal 2017 – c’è anche da tempo un Master per la formazione universitaria degli infermieri di comunità, corso attivato nelle scorse settimane anche nel Lazio. Ma è il Friuli Venezia Giulia che ha ormai un’esperienza ‘storica’, partita 2004 con dati già consolidati che confermano l’utilità di questa figura. “Grazie all’infermiere di famiglia si è calcolata una riduzione del 10% delle ospedalizzazioni e del 20% dei codici bianchi”, evidenziano dalla Fnopi.

“Ora, con l’accelerazione data dall’emergenza Covid – concludoo – molte Regioni, come ad esempio la Lombardia pochi giorni fa, hanno cominciato con le delibere per l’istituzione della figura. Ciò che ci si aspetta, però, sono regole più uniformi, che possono essere decise solo dalle Regioni che sono i veri datori di lavoro”.