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Salute: in acqua con delfini per riabilitare bimbi disabili, trial in corso

Roma, 17 mag. (AdnKronos Salute) – Sfrutta un organo complesso presente nella scatola cranica del delfino, e punta alla riabilitazione dei bimbi disabili. E’ la delfino terapia, protagonista di un trial italiano in corso, che ha già visto il trattamento di due bambine disabili al delfinario di Dubai. “Non è una vera e propria Pet therapy, in quanto il delfino non viene adoperato a scopo ludico – sottolinea all’Adnkronos Salute la fisioterapista Francesca Mangraviti di Studio Vertebral, che ha approfondito la delfino terapia in Messico, al delfinario di Puerto Vallarta – La Bio sonar dolphin therapy si avvale del Mellon, una sorta di ecolocalizzatore presente nella scatola cranica del mammifero marino. Nell’interazione con il paziente, il delfino verosimilmente lo ‘scannerizza’, e questa interazione ha effetti sui pazienti”.

“L’evidenza clinica, descritta in letteratura e da noi registrata nei casi trattati di recente e nel passato – continua Mangraviti – indica effetti positivi e duraturi sotto il profilo della spasticità, dell’interazione sociale e del ritmo sonno-veglia manifestati dai pazienti”. Con la prima sperimentazione, iniziata nei mesi scorsi a Dubai e che prevederà una serie di sessioni, “puntiamo a passare dalla fase empirica a quella scientifica”. E i primi dati sembrano positivi. “Gli elettroencefalogrammi eseguiti sulle pazienti hanno mostrato una modifica dell’attività cerebrale”.

A marzo scorso, infatti, i fondatori di Studio Vertebral, Mangraviti e Alessandro Pisani (ortopedico e chirurgo vertebrale) hanno organizzato ed effettuato la prima sessione di delfino terapia al Dubai Dolphinarium all’interno del Dubai Healthcare City. Protagoniste, oltre ai delfini, due giovanissime pazienti, una delle due affetta da microcefalia con spasticità, l’altra da epilessia farmacoresistente, rispettivamente di 11 e 7 anni. Dell’equipe ha fatto parte anche un neuropsichiatra, un biologo e altri terapisti, e le bimbe sono state sottoposte a una serie di esami prima e dopo la sessione.

Ma come funziona l’effetto-delfino? Un generatore del segnale acustico è contenuto all’interno del cranio del mammifero: il passaggio dell’aria attraverso un complesso sistema di strutture ossee produce un impulso sonoro. L’onda acustica viene modulata dal Mellon, costituito da tessuto adiposo a densità differenziate, che governa la frequenza delle onde sonore e può essere paragonato al cristallino dell’occhio. L’insieme di queste strutture anatomiche “costituisce un vero e proprio biosonar”, aggiunge l’esperta.

Grazie a questo biosonar il delfino “verosimilmente, interagisce con l’attività elettrica del sistema nervoso centrale del paziente. Si ipotizza che queste interazioni determinino delle modificazioni durature delle funzioni neurologiche alterate”, aggiunge. All’ingresso in acqua del paziente, il delfino effettua una scansione iniziale, attraverso il biosonar, del suo sistema nervoso; inizia quindi uno scambio di frequenze che vengono continuamente rimodulate.

Questa interazione tra le onde emanate dal delfino e l’attività cerebrale del bambino “genera proprio il fenomeno che noi vogliamo studiare”, dice Mangraviti. La procedura prevede un contatto diretto tra la regione frontale del delfino e le aree occipitale, cervicale, dorsale e lombosacrale del pazienti, immersi in acqua e sostenuti dal terapista.

Qual è l’obiettivo della ricerca? “Vogliamo cercare di capire la frequenza delle onde ultrasonore in acqua mediante l’impiego di un sonar, che permette anche di rilevare eventuali ciclicità e variazioni in base alle patologie dei bambini”, dice l’esperta. I pazienti dovranno fare un follow up sia in ingresso che in uscita, e verranno studiati e valutati dal punto di vista clinico generale da un neuropsichiatra infantile. Dovranno essere effettuati degli esami strumentali (elettroencefalogramma prima e dopo, esami di risonanza magnetica funzionale per vedere quali zone del cervello vengono attivate prima e dopo, un emocromo per vedere se i parametri bioumorali vengono modificati). Le sessioni previste per la delfino terapia sarebbero due l’anno. Ogni sessione deve avere la durata di sei giorni per circa trenta minuti giornalieri. “La prossima sessione dovrebbe tenersi a luglio”, aggiunge Mangraviti.

La terapia non sostituisce le altre che il bambino ha già intrapreso, farmacologiche, riabilitative, di neuro psicomotricità, di logopedia, spiegano gli esperti di Studio Vertebral. Questo approccio “nasce per i disturbi della sfera autistica ma può avere risultati anche sui bambini tetraplegici o con patologie neurologiche più o meno complesse”. È indicata anche “per pazienti adulti, esiti post-traumi e post coma”.