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Rintracciati nel I secolo A.C. i geni della celiachia

Ricercatori dell’Università Cattolica di Roma hanno ritrovato i “geni della celiachia” nelle ossa di una nostra antenata, lo scheletro di una ragazza risalente al I secolo A.C.,  rinvenuto negli scavi di Cosa ad Ansedonia. La scoperta, grazie all’estrazione e all’esame del Dna del reperto a opera dei genetisti del Centro di Antropologia Molecolare per gli studi sul Dna antico dell’Università di Tor Vergata, suggerisce che questa malattia abbia un’origine lontana e che abbia fatto parte della storia dell’uomo fin dall’introduzione del grano nella nostra alimentazione.

Condotta dal team di Antonio Gasbarrini, direttore della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia del Policlinico A. Gemelli di Roma, la ricerca è stata pubblicata sulla rivista The World Journal of Gastroenterology. La celiachia, che colpisce circa un italiano su cento, è una malattia autoimmune caratterizzata dall’intolleranza al glutine, la proteina comunemente presente in molti cereali, tra cui il grano. In pratica il sistema immunitario dei pazienti reagisce impropriamente alla presenza di questa proteina. La malattia si manifesta nella sua forma più classica con diarrea e segni di malassorbimento, ma lo spettro dei sintomi è molto ampio e può andare ben oltre il coinvolgimento dell’apparato gastrointestinale. Negli ultimi anni sono state raccolte numerose prove che dimostrano l’esistenza di una predisposizione genetica alla malattia legata in gran parte alla presenza di tre varianti del gene HLA (gene degli antigeni leucocitari umani) di classe II, il cui nome tecnico è DQ2.2, DQ2.5 e DQ8. Ciò significa che chi è portatore di una o più di queste varianti nel proprio Dna ha un rischio maggiore di ammalarsi di celiachia. 

Nel 2008 il gruppo del professor Gasbarrini ha descritto “il caso” della “ragazza di Cosa”, lo scheletro di una ragazza risalente al I secolo A.C., ritrovato nel sito archeologico di Cosa, nei pressi di Ansedonia in Toscana. La giovane è certamente morta in condizioni di deperimento fisico, come testimoniato dalla bassa statura, dall’osteoporosi, dall’ipoplasia (sviluppo incompleto) dello smalto dentale e da una caratteristica porosità dell’osso, segno di anemia. “Poiché la ragazza di Cosa apparteneva di certo a una famiglia agiata (come si desume dai gioielli che la ragazza indossava al momento del ritrovamento e dalle caratteristiche della sua tomba) – aggiunge Gasbarrini – , non è pensabile che tutti questi segni di malnutrizione che il reperto presentava siano dovuti a condizioni di scarsa disponibilità di cibo”. Questi elementi hanno fatto supporre che la “ragazza di Cosa” potesse essere affetta da celiachia. Di qui è partita l’idea di isolarne e analizzarne il Dna per vedere se la giovane avesse i geni predisponenti alla malattia.

“Grazie alla collaborazione con il Centro di Antropologia Molecolare per gli studi sul Dna antico dell’Università di Tor Vergata – spiega il professor Giovanni Gasbarrini, presidente della Fondazione Ricerca in Medicina-Onlus, che ha collaborato allo studio – abbiamo potuto ricercare nel suo Dna la presenza delle varianti del gene HLA che predispongono alla celiachia. Abbiamo estratto il Dna da un frammento di osso e da un molare e dopo un’adeguata preparazione dei campioni, abbiamo ricercato la presenza delle varianti DQ8, DQ2.2 e DQ2.5”.

L’intuizione dei ricercatori dell’Università Cattolica di Roma si è rivelata corretta: infatti nel Dna della “ragazza di Cosa” è risultato presente il gene DQ2.5.

La prova genetica offerta da questo studio, insieme a tutti gli altri segni fisici riscontrati sul reperto, avvalorano l’ipotesi che la “ragazza di Cosa” sia la prima celiaca della storia.

“La scoperta – conclude il professor Antonio Gasbarrini – ci dice che l’origine della malattia è antica e che quindi la celiachia era già presente molti secoli fa anche in un ambiente molto diverso da quello in cui viviamo attualmente; questo rafforza l’idea di un ruolo fondamentale della genetica nella genesi di questa malattia e suggerisce che le molecole oggi contenute nel grano scatenanti la malattia si trovavano già in varietà di grano molto antiche, come quelle consumate all’epoca della ragazza di Cosa. Questo – conclude il professore – sembra indicare che le cause della malattia non sono legate al variare delle abitudini alimentari degli ultimi anni”.