Vai al contenuto

Rapporto Osservasalute 2012: una fotografia del servizio sanitario nazionale

Tagli continui e a pioggia mettono in pericolo il SSN – Il Rapporto sembra confermare una certa efficacia delle iniziative di contenimento della spesa destinata alla salute: anche il 2011, come già il 2010, è stato caratterizzato da una crescita molto contenuta della spesa sanitaria pubblica (+0,1% a parità di criteri di contabilizzazione) che mantiene l’Italia al di sotto della media dell’Unione Europea sia in termini pro capite, sia in rapporto al PIL; i disavanzi permangono, ma sono ormai ridotti a livelli molto circoscritti, almeno in termini di valori medi nazionali (nel 2011, circa 29€ pro capite, pari all’1,6% del finanziamento complessivo). Tutto ciò riflette e sintetizza un profondo mutamento negli atteggiamenti delle aziende rispetto ai vincoli economico-finanziari: se in passato i vincoli venivano spesso giudicati irrealistici e non incidevano sugli effettivi comportamenti aziendali, alimentando dei circoli viziosi di generazione e copertura dei disavanzi, oggi gli stessi vincoli sono giudicati pienamente credibili e condizionano fortemente le scelte gestionali. Sotto il profilo degli equilibri economici di breve periodo, l’unico elemento di forte preoccupazione è la differenziazione interregionale, con risultati economici consolidati positivi in tutte le regioni del Centro-Nord (tranne Liguria) e negativi in tutte le regioni del Centro-Sud (tranne Abruzzo) e con 2 regioni (Lazio e Campania) che, anche nel 2011, hanno generato da sole il 63% dell’intero disavanzo nazionale.

Risulta da ciò chiaro che gli ulteriori sacrifici richiesti alla Sanità Pubblica dalla Spending Review non si possono giustificare con una presunta dispendiosità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), bensì da un lato, con l’elevato livello del debito pubblico e della correlata spesa per interessi (quest’ultima è pari a circa i 2/3 dell’intero fabbisogno sanitario nazionale), dall’altro con l’incapacità del sistema economico di crescere adeguatamente (tanto che l’aumento della spesa sanitaria pubblica, seppur spesso molto contenuto, è stato negli ultimi 20 anni quasi sempre superiore a quello del PIL).

Il rischio evidente è che questi ulteriori sacrifici aggravino il divario tra le risorse disponibili e quelle necessarie per rispondere in modo adeguato alle attese, intaccando ulteriormente una copertura pubblica già incompleta. Particolarmente critiche sono le prospettive per l’equità intergenerazionale, per effetto sia del sostanziale blocco degli investimenti (cui contribuisce, in verità, anche la frequente incapacità di spendere bene i limitati fondi disponibili), sia dell’impatto che le iniziative di risparmio e razionalizzazione potrebbero avere sullo stato di salute dei cittadini. In linea di principio, naturalmente, tali iniziative dovrebbero identificare e incidere su situazioni di inefficienza e inappropriatezza, quindi salvaguardare gli attuali livelli di servizio. Laddove il contenimento dei costi sia ottenuto riducendo i servizi offerti, invece, si potrebbe generare un impatto negativo di medio periodo sulle condizioni di salute della popolazione, con gravi conseguenze negative anche sul piano economico. Naturalmente, il rischio è più accentuato nelle regioni assoggettate a Piano di Rientro, dove le iniziative di contenimento dei costi sono state più intense.

In questa prospettiva e nell’attuale congiuntura economica soluzioni come recuperare efficienza; adottare esplicite scelte di razionamento e ricercare risorse aggiuntive potrebbero non bastare, potrebbe, quindi, diventare necessario chiarire in modo più esplicito i livelli di assistenza che il SSN potrà continuare effettivamente a garantire su base universalistica.

In caso contrario, il rischio è che si estendano forme di razionamento implicite e non governate, prevalentemente attraverso compartecipazioni alla spesa e lunghi tempi di attesa. Nel contempo, potrebbe essere opportuno attivare risorse aggiuntive, per esempio tramite lo sviluppo dell’attività a pagamento e dei fondi integrativi (salvaguardando, pero, il rispetto dei principi ispiratori del SSN), nonché ricercare un’integrazione più forte con l’assistenza socio-sanitaria, in termini di governance, di canali di finanziamento, di erogatori e di servizi erogati.

 Spesa sanitaria pubblica inferiore a quella di alcuni Paesi OCSE – Si conferma anche che il valore della spesa sanitaria pubblica è allineato alla media dei Paesi OCSE, anche se inferiore a quelli di altri Paesi come Regno Unito, Germania e Francia di circa 2 punti percentuali e addirittura degli USA che hanno un sistema privato. Si conferma pure il trend in crescita a partire dal 2003 passando dal 6,09% al 7,22% del 2009, con un tasso medio composto annuo del 2,87%. L’incremento è particolarmente significativo nel 2009, anno in cui, in valore assoluto, la spesa sanitaria pubblica aumenta, mentre il PIL subisce una riduzione. A livello regionale l’indicatore mostra delle significative differenze nel 2009, variando da un massimo di 11,02% del Molise a un minimo di 5,42% della Lombardia, un divario che supera i 5 punti percentuali.

 Spesa sanitaria pro capite in aumento – Il Rapporto mostra che la spesa sanitaria pro capite è cresciuta dell’1,09% fra 2010 e 2011 passando da 1.831€ a 1.851€. La spesa è aumentata del 12,59% rispetto al 2005. Occorre osservare, pero, come l’incremento tra il 2011 e il 2010 include l’effetto dovuto alla contabilizzazione a partire dal 2011 dei costi relativi agli ammortamenti degli investimenti. Anche quest’anno le regioni del Nord mettono a disposizione un ammontare di risorse superiore rispetto alle regioni meridionali.

 Disavanzi in diminuzione – Nel 2011 il disavanzo sanitario nazionale ammontava a circa 1,779 miliardi di euro, in diminuzione rispetto al 2010 (2,206 miliardi di euro), a conferma del trend di sistematica riduzione avviato dopo il picco (5,790 miliardi di euro) raggiunto nel 2004. Anche a livello pro capite il disavanzo 2011 (29€) è il più basso dell’intero arco temporale considerato (2002-2011).

 La “pagella” al SSN – Quest’anno il Rapporto presenta anche un’analisi delle performance del nostro sistema sanitario sulla base di alcuni parametri quali efficienza (offerta di servizi con la spesa minima possibile), efficacia (esito delle prestazioni erogate), appropriatezza, che valuta gli atti medici in relazione ai costi, alle risorse disponibili e ai risultati auspicabili, qualità per il cittadino, intesa come accessibilità e soddisfazione, che il sistema sanitario assicura alla popolazione.

La valutazione della performance dei sistemi sanitari è divenuta una priorità ineludibile, visto il crescente impegno di risorse economiche di cui essi necessitano e le forti implicazioni sociali delle scelte di politica sanitaria attuate dai Governi.

Nel corso degli ultimi 20 anni, infatti, si è assistito in tutti i Paesi sviluppati a una crescita continua della spesa destinata alla sanità che ha messo in discussione la sostenibilità economica dei sistemi sanitari, in particolare quelli a finanziamento pubblico. La dinamica della spesa osservata in questo settore è da attribuire sia all’incremento della domanda di assistenza e cure sanitarie (dovuto all’aumento degli anziani e di fasce bisognose di cure), sia all’aumento dei costi legati all’innovazione scientifica e tecnologica.

I risultati della valutazione della performance rispetto alle singole dimensioni considerate mettono in evidenza il consueto divario tra Nord e Mezzogiorno, seppure caratterizzato da alcune eccezioni interessanti. Ancora più interessante è spingere l’analisi sul confronto tra alcune dimensioni della performance con cui si possono mettere in luce dei trade-off che possono fornire spunti di riflessione e indicazioni su come procedere. Il trade-off è il rapporto tra due dimensioni usate per valutare la performance, per esempio il rapporto tra efficienza e efficacia.

In generale, ad esempio, ci si preoccupa quando al crescere dell’efficienza di un SSR diminuisce l’efficacia delle cure perché potrebbe significare che il mirare troppo al risparmio si traduce, di fatto, in un danno per la salute dei cittadini. Le spinte verso l’efficienza della spesa spesso hanno conseguenze poco desiderabili sugli outcome, sia in termini di esiti di salute che di appropriatezza, accessibilità e soddisfazione.

Dal confronto tra i livelli di efficienza e di efficacia registrati nelle regioni emerge che la PA di Bolzano e l’Abruzzo, a fronte di bilanci di spesa positivi, fanno registrare livelli bassi e medio-bassi di efficacia. Si tratta, quindi, di casi in cui una buona gestione della spesa non concorda con altrettanti buoni risultati in termini di salute. Per contro, le regioni che lamentano conti in rosso, come la Liguria e la Basilicata, possono vantare livelli medio-alti di efficacia del sistema sanitario. La Valle d’Aosta si dimostra un’eccellenza in quanto riesce a coniugare conti in ordine e alta efficacia; all’estremo opposto troviamo Calabria e Sardegna, negative sia in termini di efficienza che di efficacia.

Sul fronte del rapporto tra efficienza e grado di soddisfazione e di facilità di accesso alle cure dei cittadini emerge invece come Regione meno virtuosa l’Umbria, in quanto pur risultando capace di controllare la spesa, non riesce però a fornire ai propri residenti un alto livello di accessibilità e soddisfazione; per contro, Marche, Liguria, Molise e Sardegna evidenziano scarsa capacità nel tenere i conti in ordine, ma possono vantare livelli di accessibilità e soddisfazione medio-alti.

 Mortalità evitabile – Il concetto di mortalità evitabile per cause riconducibili ai servizi sanitari o Amenable Mortality (AM) è potenziale strumento per la valutazione della qualità e dell’efficacia dei sistemi sanitari e per monitorarne i cambiamenti nel tempo. La “mortalità riconducibile alle cure sanitarie” è definita come “decessi considerati prematuri, che non si verificherebbero in condizioni di cure efficaci e tempestive” o come “morti attribuibili” a condizioni per cui esistono efficaci interventi diagnostico-terapeutici e di prevenzione secondaria, che potrebbero prevenire le “morti premature”. Nel periodo considerato nel Rapporto, tra 2006 e 2009, si è assistito a una lieve riduzione del tasso di mortalità riconducibile ai servizi sanitari: si è passati, difatti, dal 63,86 (per 100.000) del 2006 al 61,69 (per 100.000) del 2009. Queste cause di morte riguardano soprattutto gli uomini. Le regioni che presentano la peggiore performance in tutti gli anni considerati sono Calabria, Campania e Sicilia.

Ormai il divario tra i cittadini delle regioni più virtuose e quelle in difficoltà è impressionante: quasi 4 anni separano gli uni dagli altri ed è come se negli ultimi dieci anni, alcuni fossero tornati al secondo dopoguerra in termini di guadagno di aspettativa di vita.