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Rapporto Osservasalute 2012: Italiani bocciati per stili di vita

Sempre più grassi gli italiani; e più crescono, più ingrassano Continua a crescere, anche se di poco, la percentuale di italiani che ha problemi con la bilancia: nel 2011, oltre un terzo della popolazione adulta (35,8%, mentre era il 35,6% nel 2010) è in sovrappeso (Indice di Massa Corporea – IMC – tra 25 e 30), mentre una persona su dieci (10%) è obesa (IMC>30); complessivamente, il 45,8% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale (era il 45,4% nel 2009 e il 45,9 nel 2010). In Italia, nel periodo 2001-2011, è aumentata sia la percentuale di coloro che sono in sovrappeso (33,9% vs 35,8%) sia quella degli obesi (8,5% vs 10%).

Si conferma il gradiente Nord-Sud, ma dal 2001 è boom di obesi a Nord: le regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone obese (Basilicata 13,1% e Molise 13,5%) e in sovrappeso (Campania 40,1% e Puglia 40,4%) rispetto alle regioni settentrionali (obese: PA Trento 6,4%; sovrappeso: Veneto 31,4%). Confrontando i dati con quelli degli anni precedenti e raggruppando per macro-regioni (Nord-Ovest: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia; Nord-Est: PA di Bolzano, PA di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna; Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio; Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria; Isole: Sicilia, Sardegna) si osserva che dal 2001 nel Nord-Ovest si è registrato il maggior aumento (2,4 punti percentuali) di persone con eccesso ponderale, mentre nel Nord-Est è cresciuta notevolmente la prevalenza di persone obese. Diversamente, nelle Isole la percentuale di persone in sovrappeso e obese è rimasta pressoché stabile negli ultimi anni. A livello nazionale, i dati del 2011 risultano sovrapponibili rispetto a quelli del 2010, ma confermano il trend in aumento degli ultimi 10 anni.

Anche l’età pesa sulla bilancia – La percentuale di popolazione in condizione di eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età: dalla fascia 18-24 anni a quella 65-74 anni il sovrappeso passa dal 15,7% a oltre il 45%, l’obesità dal 2,5% al 15,5%. Nelle persone dai 75 anni in su il valore diminuisce lievemente (sovrappeso 42,3%, obesità 13%).

Uomini peggio delle donne – Come nelle precedenti edizioni gli uomini hanno più problemi delle donne: risulta in sovrappeso il 45,5% (44,3% nel 2010) degli uomini rispetto al 26,8 (27,6% nel 2010) delle donne e obeso il 10,7% (era l’11,1% nel 2010) degli uomini e il 9,4% (9,6% nel 2010) delle donne.

Lieve flessione degli sportivi, il Paese è sempre pigro, soprattutto le donne – Rispetto alla precedente edizione del Rapporto, diminuiscono anche se di poco gli sportivi: nel 2010 il 22,8% della popolazione italiana con età ≥3 anni praticava con continuità, nel tempo libero, uno o più sport (nel 2009 era il 21,5%, nel 2008 era il 21,6%, nel 2007 il 20,6%). Nel 2011 si scende al 21,9% della popolazione.

I sedentari sono pari al 39,8%. L’abitudine all’attività fisica non è uguale in tutte le regioni, ma c’è un gradiente Nord-Sud con livelli più elevati e continui di svolgimento di una qualsiasi attività fisica nella PA di Bolzano (37,9%) e in Valle d’Aosta (29,3%) e livelli più bassi in Campania (13,1%) e Puglia (13,6%).

La sedentarietà aumenta man mano che si scende da Nord verso Sud, in particolare in Sicilia (57%) e in Puglia (57,2%). La pratica sportiva è molto più frequente fra gli uomini: il 26,0% pratica sport con continuità e il 12,6% lo pratica saltuariamente, mentre fra le donne la quota è, rispettivamente, del 18% e del 7,9%. La quota di sedentari è maggiore tra le donne (44,4% vs 35%).

 Gli italiani continuano a consumare poca frutta e verdura – Complessivamente, le persone di 3 anni e oltre che consumano quotidianamente Verdura, Ortaggi e Frutta (VOF) costituiscono una percentuale abbastanza stabile con un minimo di 83,7% nel 2009 e un massimo di 85,3% nel 2006, per attestarsi all’85% nel 2011 come valore nazionale. Osservando, tra di loro, la percentuale di persone che mangia almeno 5 e più porzioni al giorno di VOF, si è registrato un massimo di 5,7% nel 2008 al termine di un periodo di crescita dell’indicatore che partiva da un 5,3% nel 2005. Nel 2009, e sceso al 4,8% per poi risalire nel 2010 (5,5%) e, infine, attestarsi al 4,9% nel 2011. L’evoluzione osservata nel tempo vede una crescita in alcune delle regioni che inizialmente presentavano un livello inferiore, in particolare l’Abruzzo (che passa da una percentuale di 4,3% a 6,6%), la Basilicata e la Sardegna, mentre si registra un andamento opposto per le regioni che partivano da un livello più elevato, come Piemonte, Veneto, Toscana e Lazio.

Alcolici, meno consumatori ma più diffusi i comportamenti a rischio – Diminuiscono i consumatori ma aumentano i comportamenti a rischio, come il binge drinking (ovvero l’assunzione di 5 o più bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve). La prevalenza dei non consumatori, che corrispondono agli astemi e ai sobri degli ultimi 12 mesi, è pari nel 2010, al 32,7%, dato in aumento rispetto agli ultimi anni. L’aumento rispetto all’anno 2008 è statisticamente significativo sia a livello nazionale (+3,3 punti percentuali) sia in molte realtà locali grazie all’aumento degli astinenti degli ultimi 12 mesi (+2,8 punti percentuali); gli aumenti più consistenti di non consumatori si registrano in alcune regioni del Centro, quali Umbria (+7,7 punti percentuali), Marche (+6,5 punti percentuali) e Emilia-Romagna (+5,7 punti percentuali).

Cresce il fenomeno del binge drinking tra i giovani: il dato passa dal 9,5% del 2009 al 10,5% del 2010.

 Si fuma un po’ meno – Diminuiscono, anche se di poco, i fumatori, infatti, mentre nel 2010 fumava il 22,8% degli over-14 nel 2011 è il 22,3%. Non emergono grandi differenze rispetto al 2010, ma si evidenzia una maggior prevalenza rispetto al dato nazionale nel Lazio (27,2%) e in Abruzzo (24%), entrambe in aumento rispetto al 2010 (26,7% e 21,8%, rispettivamente). Una netta diminuzione, rispetto all’anno precedente, si osserva, invece, in Valle d’Aosta (19,8% vs 16,3%) e in Campania (26,1% vs 23,1%).

Notevoli sono le differenze di genere: gli uomini fumatori sono il 28,4%, mentre le donne il 16,6%. Il vizio del fumo è più diffuso nei giovani adulti, in particolare, tra i 25-34 anni, fascia di età in cui si concentra circa un terzo del campione (30,6%).

 Si riduce la mortalità per malattie cardiovascolari, ma gli uomini muoiono il doppio delle donne – Un dato rilevante per la salute degli italiani e che negli ultimi 40 anni la mortalità totale si è più che dimezzata (il tasso standardizzato di mortalità totale si è ridotto del 53,0% tra il 1970 e il 2008) e la riduzione della mortalità per le malattie cardiovascolari è stato il fattore che più ha influito sul trend in discesa della mortalità totale (nello stesso periodo, la mortalità per malattie cardiovascolari si è ridotta del 63%).

La mortalità per le malattie ischemiche del cuore continua a colpire quasi il doppio degli uomini rispetto alle donne; in particolare, nel 2009, si sono registrati 14,07 decessi (per 10.000) fra gli uomini e 7,79 decessi (per 10.000) fra le donne e è da sottolineare che entrambi i tassi di mortalità sono in diminuzione rispetto al 2008. A livello regionale, il primato negativo spetta alla Campania sia per gli uomini (17,13 per 10.000) sia per le donne (10,43 per 10.000). La Sardegna per gli uomini e la Valle d’Aosta per le donne sono le regioni più virtuose con tassi di mortalità, rispettivamente, di 11,81 decessi e 5,34 decessi (per 10.000). Il dato positivo è che si registra per la mortalità per malattie ischemiche del cuore un trend in discesa che continua dal 2003 in entrambi i generi, in tutte le classi di età e in tutte le regioni.

 Prosegue l’aumento dei consumi di antidepressivi – Anche quest’anno prosegue il trend di aumento del consumo di farmaci antidepressivi, come già visto nel precedente Rapporto. Il volume prescrittivo dei farmaci antidepressivi mostra un continuo aumento negli ultimi 10 anni: nel 2011 il consumo (in DDD/1000 ab die) di farmaci antidepressivi è di 36,1, contro un consumo di 8,18 nel 2000. Il trend dell’utilizzo dei farmaci antidepressivi difficilmente vedrà un’inversione di tendenza. Questo potrebbe essere imputato a due fattori principali. Il primo è la facilità di utilizzo della tipologia farmaceutica. “Infatti – spiega la professoressa Roberta Siliquini, Ordinario di Igiene all’Università di Torino – sempre più spesso le forme di depressione lievi vengono trattate dai Medici di Medicina Generale senza il supporto specialistico, motivo per cui senza un adeguato controllo il volume di farmaci prescrivibili, tramite il SSN, potrebbe essere destinato ad aumentare, con relativo aumento della spesa. Il secondo, e forse di maggior importanza, dipende dalle ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dalle quali emerge che, nel 2020, la depressione sarà la seconda causa di morte nei Paesi occidentali, con crescente e continuo utilizzo dei farmaci correlati”.

Alla luce dei risultati mostrati, potrebbe rendersi necessaria una riflessione che miri a trovare i giusti supporti nelle strutture territoriali per la diagnosi e la cura delle patologie depressive in modo da migliorare, laddove possibile, l’appropriatezza prescrittiva.

 Continua il trend in aumento per i suicidi, sono gli uomini a togliersi più spesso la vita – Nel biennio 2008-2009, il tasso medio annuo di mortalità per suicidio è pari a 7,23 per 100.000 residenti dai 15 anni in su. Nel 77% dei casi il suicida è un uomo. Il tasso di mortalità è pari a 12,05 (per 100.000) per gli uomini e a 3,12 per le donne.

Dopo il minimo storico raggiunto nel 2006 (quando sono stati registrati 3.607 suicidi) si evidenzia una nuova tendenza all’aumento negli ultimi anni di osservazione (con 3.870 suicidi nel 2009). L’incremento registrato osservato negli anni più recenti si deve pressoché esclusivamente a un aumento dei suicidi tra gli uomini per i quali il tasso è passato da 11,70 (per 100.000) nel 2006 e nel 2007 a 11,90 (per 100.000) nel 2008 e 12,20 (per 100.000) nel 2009. L’aumento della mortalità per suicidio riguarda soprattutto gli uomini tra 25 e 69 anni.

L’aumento costante del tasso di suicidi negli ultimi anni può essere un segno, oltre che di patologia psichiatrica, del crescente disagio sociale e va monitorato con attenzione anche al fine di prevedere un rafforzamento delle attività preventive e della presa in carico sanitaria e sociale di soggetti a rischio.