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‘Pandemia rischia di aggravare il gender gap sul lavoro specie in sanità’

Milano, 23 apr. (Adnkronos Salute) – Li hanno spesso paragonati a ‘soldati al fronte’. Ma gli operatori sanitari in prima linea nella guerra al nuovo coronavirus hanno un problema in più: esposti al contagio in prima persona in corsia, rischiano di portare l’infezione anche dentro casa, mettendo a rischio i propri cari. Al dramma che vivono in ospedale si aggiunge quello personale: uno ‘tsunami familiare’ fotografato da un’indagine dell’associazione Women For Oncology (W4O) Italy. La rilevazione ha coinvolto 600 camici italiani, donne nel 75% circa dei casi. Il 70% segnala un forte impatto dell’emergenza Covid-19 sulla vita domestica, il 30% ha scelto di lasciare il proprio tetto per proteggere la famiglia, più dell’80% non vede i genitori da almeno 2 settimane, molti rinunciano all’abbraccio dei figli.

Si tratta della “prima survey sull’impatto sociale per gli operatori sanitari” condotta in questa crisi pandemica, sottolineano i promotori. I professionisti interessati sono medici specialisti (63%), infermieri (21%) e specializzandi (9%), la maggioranza in forze in un reparto di oncologia (59%). Oltre l’83% degli intervistati ha dichiarato di non vivere da solo. La stessa percentuale si dice consapevole del pericolo di infettarsi, ma il timore del contagio è forte soprattutto pensando alle persone amate: il 72,4% reputa di poter esporre al rischio partner, figli e genitori. Mantenere le distanze diventa un obbligo che pesa: a chi gli chiede se questa regola ha avuto ripercussioni sulla vita familiare, il 54% risponde “sì” e il 16% “abbastanza”. Quasi un terzo ha preso la “difficile decisione di cambiare alloggio”, mentre in un altro 7,6% dei casi è stato il nucleo familiare a trasferirsi altrove, e in ulteriore 6,7% a cambiare abitazione sono stati i figli.

Chi resta sotto lo stesso tetto si arrangia come può: divisione della zona notte, un metro di lontananza da tutti, niente rapporti stretti con gli anziani e nemmeno con i bambini: l’80,7% degli interpellati non vede i genitori da oltre 14 giorni, il 32% non ha contatti ravvicinati con i figli da più di 2 settimane e il 60,7% da meno di 7 giorni. Senza contare la difficoltà nel reperire badanti (10,7%) e baby-sitter (22,5%), o anche solo nel fare la spesa (54,4%).

“Questa emergenza sta cambiando non solo le nostre abitudini come professionisti, ma anche come genitori e caregiver – afferma Rossana Berardi, vice presidente di Women for Oncology Italy, direttore Clinica oncologica Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche – Molti operatori che stanno lavorando in prima linea sono donne e madri, costrette ad allontanarsi dai loro figli o a non poter più accudire i genitori anziani. Siamo preoccupati e costretti a isolarci, con tutte le conseguenze psicologiche che questo comporta. Molti di noi hanno scelto di allontanarsi dal proprio nucleo familiare per mettere in sicurezza i propri affetti ed evitare che possano essere a loro volta soggetti all’infezione, consapevoli che la distanza di oltre un metro, oggi, è un atto di amore”.

“Abbiamo voluto condurre questo studio per accendere i riflettori e sensibilizzare sull’impatto sociale che questa emergenza sanitaria sta avendo sugli operatori sanitari e, in modo particolare, sulle donne che svolgono queste professioni”, aggiunge Marina Garassino, presidente di W4O Italy.