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Nanoparticelle: un nuovo rischio da valutare per tutelare la salute dei lavoratori

L’analisi dei ricercatori di Medicina del lavoro dell’Università Cattolica di Roma sulla presenza di nanoparticelle in ambienti industriali e sui possibili rischi per la salute degli operai. Nanoparticelle presenti in alcuni ambienti industriali possono causare rischi per la salute degli operai che vi sono esposti. Ricercatori di Medicina del Lavoro della Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” dell’Università Cattolica di Roma hanno studiato i livelli ambientali del particolato nell’industria metalmeccanica. Lo studio ha messo in evidenza che le attività di saldatura e brasatura sono fonti di emissione, nell’ambiente di lavoro, di particelle di dimensione nanometrica (pari a un miliardesimo di metro. Una grandezza estremamente piccola se pensiamo che un capello ha diametro pari a circa 70.000 nanometri). Questa esposizione rappresenta un potenziale rischio per la salute dei lavoratori, che svolgono tali attività e dovrebbe essere accuratamente monitorata.

 L’osservazione è emersa da uno studio condotto dal gruppo di ricerca guidato da Ivo Iavicoli, professore aggregato di Medicina del Lavoro all’Università Cattolica di Roma, con la supervisione del professor Antonio Bergamaschi. Il lavoro è stato pubblicato sul Journal of Occupational and Environmental Medicine, una delle riviste più importanti nell’ambito della Medicina del Lavoro e dell’Igiene Industriale.

 Quello delle nanoparticelle è di certo un problema emergente. Negli ultimi anni il settore delle nanotecnologie si è sviluppato in maniera imponente. Le applicazioni pratiche delle nanoparticelle e dei nanomateriali sono estremamente numerose, esse vengono attualmente impiegate in diversi settori industriali per migliorare l’efficienza di purificazione dell’acqua, per realizzare materiali da costruzione più resistenti e leggeri, per implementare la potenza e la velocità di calcolo, per ottimizzare la produzione e la conservazione dell’energia, per ottenere nuovi e migliori strumenti diagnostici e terapeutici in ambito medico. Inoltre, in media ogni settimana vengono immessi sul mercato 3-4 prodotti di consumo che contengono nanoparticelle (cosmetici, schermi solari, tessuti traspiranti, idrorepellenti, antimacchia e con elevate prestazioni elastiche e termiche, vernici, inchiostri e additivi chimici). Infine, è bene ricordare che oltre alle nanoparticelle ingegnerizzate, che sono prodotte intenzionalmente dall’uomo, vi sono anche le nanoparticelle incidentali che sono generate in maniera involontaria da fonti antropogeniche, che consistono prevalentemente in processi di combustione a carattere domestico, veicolare o industriale e da particolari attività lavorative quali le operazioni di saldatura, molatura, fusione, ablazione laser, taglio, lucidatura, e trattamento termico dei materiali.

Oggi si sa, da numerosi studi sperimentali su animali di laboratorio e  su linee cellulari, che le nanoparticelle sono in grado di causare un’ampia varietà di effetti tossici. In particolare per quanto riguarda gli effetti avversi a carico dell’apparato respiratorio le nanoparticelle sono in grado di indurre processi infiammatori, danni tissutali, stress ossidativo e fibrosi.

La tossicità di queste sostanze dipende dalle loro peculiari caratteristiche chimico–fisiche, in particolare dal diametro, dalla morfologia, dall’area e dalla chimica di superficie e dall’eventuale stato di aggregazione/agglomerazione.

Inoltre, le nanoparticelle, possedendo dimensioni comprese tra 1 e 100 nm, hanno la possibilità di raggiungere più facilmente le basse vie respiratorie, in particolare gli alveoli, rispetto alle particelle con dimensioni micrometriche e possono quindi provocare in questa sede degli effetti avversi di maggiore gravità. Infine la reattività di queste particelle è principalmente correlata alla loro capacità di indurre a livello cellulare la produzione di radicali liberi dell’ossigeno.

Per questo motivo le nanoparticelle presentano un profilo tossicologico che può discostarsi significativamente da quello di particelle di dimensioni maggiori ma con stessa composizione chimica.

 “Nello studio che abbiamo condotto per verificare l’emissione di nanoparticelle durante l’attività di saldatura/molatura e di brasatura – spiega il professor Iavicoli – abbiamo riscontrato la presenza di significativi livelli aerodispersi di nanoparticelle in entrambe le attività lavorative. In particolare durante la brasatura circa il 50% delle particelle campionate era costituito da nanoparticelle incidentali, mentre durante l’attività di saldatura/molatura questa percentuale saliva a circa il 60%”.

Questo lavoro è importante perché, spiega l’esperto, “l’applicazione di idonee misure di prevenzione e protezione per garantire la tutela della salute dei lavoratori esposti a nanoparticelle non può prescindere dalla conoscenza dei livelli aerodispersi delle nanoparticelle nei luoghi di lavoro. Pertanto, prima di programmare degli adeguati interventi di prevenzione sarebbe necessario effettuare un opportuno monitoraggio ambientale sia per conoscere i livelli espositivi che per identificare le possibili fonti di emissione. Successivamente la riduzione dell’esposizione può essere ottenuta mediante l’attuazione di misure preventive di carattere organizzativo e strutturale, attraverso l’adozione di buone prassi di lavoro e l’utilizzo di adeguati dispositivi di protezione sia individuali che collettivi”.