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Mortalità materna: nasce la prima rete di sorveglianza attiva

foto_gravidanza_3In Italia la mortalità materna resta un evento raro. In base a un progetto pilota di sorveglianza della mortalità materna, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità in sei regioni e presentato al convegno “La sorveglianza della mortalità materna in Italia: validazione del progetto pilota e prospettive future”, è emerso che i certificati di morte dell’Istat sono in grado di rilevare solo il 41% dei casi. Il progetto è stato condotto in sei regioni: Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia utilizzando due metodologie distinte: da una parte incrociando attraverso procedure di record-linkage   i registri di mortalità con le schede di dimissione ospedaliera, dall’altra  attivando una sorveglianza attiva per identificare e analizzare nel dettaglio tutti i casi di morte materna che avvengono nelle regioni partecipanti.  

In base a questo studio il nostro Paese si conferma in linea con la media dei Paesi europei con un rapporto di mortalità materna pari a 10 decessi ogni centomila nati vivi esattamente come nel Regno Unito e in Francia. Tra le regioni partecipanti il rapporto più basso (4,6 ogni centomila nati vivi) è stato rilevato in Toscana, il più alto (13,4 ogni centomila nati vivi) in Campania.  Il record linkage ha permesso di rilevare anche le morti materne tardive avvenute tra 43 e 365 giorni dall’esito della gravidanza. Il 12% di queste è attribuibile al suicidio che avviene in due casi ogni centomila nati vivi delle regioni partecipanti.

 La sorveglianza attiva, messa in piedi da due anni dal Centro Nazionale di Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità grazie a un finanziamento del Centro Controllo Malattie (CCM) del Ministero della Salute, ha creato una rete di circa trecento presìdi sanitari pubblici e privati che coprono il 49% dei nati nel Paese. Ha lo scopo di rilevare nel dettaglio i percorsi assistenziali in modo da identificare eventuali criticità cliniche  o organizzative e indicare le strategie di prevenzione delle morti evitabili.

 Le morti rilevate in due anni attraverso la sorveglianza attiva sono in tutto 39 e la maggior parte è insorta a seguito di complicanze ostetriche della gravidanza e del parto, mentre le altre per complicazioni di patologie preesistenti. Due donne su 10 sono morte a seguito di un’emorragia ostetrica che rappresenta la prima causa di mortalità e grave morbosità materna in Italia.  La sepsi ha causato 5 dei 39 decessi e altri 5 sono stati causati da malattie infettive, 3 delle quali dovute a influenza H1N1, mentre 6 dei 39 decessi sono avvenuti per complicazioni di gravidanze indotte mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita.

“l’attivazione della sorveglianza  rappresenta una iniziativa  di salute pubblica  molto importante perché prevede    la realizzazione di audit tra i professionisti sanitari che hanno assistito la donna per esaminare nel dettaglio l’intero percorso assistenziale. – afferma Serena Donati, del reparto Salute della donna e dell’età evolutiva dell’ISS – Inoltre ogni caso viene sottoposto ad indagine confidenziale secondo il modello attuato nel Regno Unito da diversi decenni in modo da attribuire con certezza la causa del decesso e validare l’appropriatezza dell’assistenza oltre a identificare le morti evitabili. Entro quest’anno allargheremo la rete dei presidi sanitari coinvolgendo la Lombardia e la Puglia in modo da arrivare a una copertura pari al 75% dei nati del Paese”.

 Le criticità più frequentemente segnalate dai clinici i che hanno assistito le donne e dai revisori dei casi clinici sono: la mancanza di adeguata comunicazione tra i professionisti, l’incapacità di apprezzare la gravità del problema, il ritardo nella diagnosi e nel trattamento e la diagnosi e il trattamento non appropriati. Delle 29 morti sottoposte a indagini confidenziale 12 sono risultate associate ad assistenza inappropriata ed esito evitabile. Nei Paesi socialmente avanzati che effettuano sorveglianze analoghe la percentuale di morti materne evitabili è stimata pari al 50%.

“Il rischio di mortalità materna è quasi tre volte superiore nelle donne sopra i 35 anni rispetto alle più giovani,  oltre due volte  nelle donne di istruzione bassa etra quelle che si sono sottoposte a taglio cesareo rispetto al parto spontaneo. Le morti rilevate a seguito di gravidanze indotte mediante procreazione assistita mettono in luce l’importanza di un’appropriata selezione delle donne che possono accedere a tali tecniche– afferma la ricercatrice – per quanto riguarda la variabilità  tra le regioni,  si registrano  esiti migliori al Nord rispetto al Sud del Paese come accade  anche per la mortalità neonatale”.

 Per quanto riguarda l’emorragia ostetrica, che rappresenta la prima causa di mortalità materna, l’ISS ha offerto ad oltre 5000 operatori sanitari (medici e ostetriche) una formazione a distanza sulla prevenzione, diagnosi e trattamento delle emorragie del post-partum. È stato inoltre attivato uno studio sugli eventi morbosi materni gravi (near miss) da emorragia del post-partum per ampliare la casistica sugli eventi gravi relativi al parto e analizzare in maniera ancor più approfondita le criticità assistenziali o organizzative oltre che facilitare l’aggiornamento dei professionisti.

“Per quanto riguarda l’emorragia del post-partum – conclude Serena Donati – nel 2015 l’ISS ha in programma una Linea-Guida specifica sotto l’egida del Sistema Nazionale Linee-Guida”

 

 

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