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Medicina: Parkinson, studio promuove pacemaker cerebrale ‘made in UniMi’

Milano, 11 ott. (Adnkronos Salute) – Lo stimolatore cerebrale automatico ‘made in UniMi’, realizzato nei laboratori dell’università Statale di Milano per il trattamento della malattia di Parkinson resistente ai farmaci, rispetto al ‘pacemaker cerebrale’ tradizionale ha “un effetto migliore su alcuni sintomi motori” caratteristici della patologia neurologica. E’ quanto emerge da uno studio dell’ateneo, pubblicato su ‘Nature – NPJ Parkinson’.

La stimolazione cerebrale profonda (o Dbs, da Deep Brain Stimulation), introdotta negli anni ’90 del secolo scorso – ricordano dalla Statale – è una metodica per trattare la malattia di Parkinson quando la terapia farmacologica non riesce a controllarla. Prevede la stimolazione costante di una struttura profonda del cervello attraverso un elettrodo impiantato chirurgicamente e connesso a un pacemaker inserito sottopelle vicino alla clavicola. Da circa 20 anni i ricercatori UniMi stanno lavorando per sviluppare e mettere a punto un sistema per la stimolazione automatica, che si adatta momento per momento alle esigenze del paziente a seconda che dorma, sia sveglio o cammini, e in base all’effetto della terapia in un determinato istante della giornata. La stimolazione automatica è nota anche come ‘Dbs adattativa’, proprio perché si adatta in tempo reale alle necessità del paziente.

Il nuovo studio – condotto da un gruppo coordinato dal docente di neurologia Alberto Priori, in collaborazione con Newronika azienda spin-off di UniMi, Asst Santi Paolo e Carlo, Policlinico di Milano e università di Wurzburg (Germania), Toronto (Canada) e Grenoble (Francia) – ha voluto confrontare gli effetti della Dbs adattativa con quelli della Dbs convenzionale in 8 pazienti con malattia di Parkinson, liberi di muoversi in ospedale. I risultati mostrano che “la stimolazione automatica consente non solo il risparmio di corrente e della batteria, ma soprattutto ha un effetto migliore su alcuni sintomi motori di malattia come la rigidità e le discinesie, valutati sistematicamente nel corso di un’intera giornata di osservazione”.

“Questo è il primo studio che ha comparato direttamente nello stesso paziente gli effetti della metodica convenzionale con quella adattativa o automatica da noi messa a punto per un periodo così prolungato di tempo”, afferma Tommaso Bocci, ricercatore di neurologia della Statale di Milano e primo autore dell’articolo.

“I dati ricavati sono molto importanti – commenta – in quanto confermano in modo ancora più solido la superiorità della metodica adattativa per la stimolazione cerebrale profonda nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, non solamente sulle fluttuazioni motorie, ma anche su alcuni sintomi cardine di malattia quale la rigidità muscolare”.