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Medicina: cuore grosso per colpa dei geni? Fare sport si può

Milano, 9 set. (Adnkronos Salute) – Sono oltre 100mila gli italiani con cardiomiopatia ipertrofica, la malattia genetica cardiaca più diffusa, causata da una mutazione che funziona come un ‘doping naturale’ per il nostro organo motore e lo ingrossa. Il loro cuore si contrae troppo e la capacità di riempimento del ventricolo sinistro si riduce. Per questi pazienti arriva una novità dal IV ‘Florence International Symposium on Advances in Cardiomyopathies’, organizzato dalla Fondazione Internazionale Menarini e dall’università di Firenze nel capoluogo toscano oggi e domani, 9 e 10 settembre: le più recenti linee guida europee, discusse nel corso dell’evento, permettono l’esercizio fisico. Un’attività motoria su misura, consigliata sulla base dei dati clinici individuali.

Un cuore ispessito – spiegano gli esperti – all’inizio è spesso asintomatico e anzi può consentire performance sportive d’eccellenza per alcuni anni, ma con l’andare del tempo diventa più fragile perché si può sfiancare. Per questo l’esercizio fisico è stato finora sconsigliato ai pazienti con cardiomiopatia ipertrofica. Ora invece arriva un via libera, sebbene condizionato a “un’adeguata valutazione del singolo caso da parte di specialisti cardiologi”. Non solo. E’ utile anche lo screening, specialmente negli sportivi adulti over 55 in casi selezionati, attraverso elettrocardiogramma, visita cardiologica ed ecocardiogramma. Lo suggerisce uno studio italiano su oltre 30mila sportivi dagli 8 anni in su, secondo cui lo screening è invece meno necessario nei più piccoli perché appena 2 su 10mila presentano alterazioni strutturali.

Gli esperti internazionali riuniti al simposio faranno inoltre il punto su tutti i più recenti progressi nella conoscenza della patologia: dalle nuove promettenti terapie in fase di sviluppo, al ruolo dell’analisi genetica con next generation sequencing e alle possibilità della terapia genica; dalla stratificazione del rischio di arresto cardiaco e scompenso cardiaco, alla gestione medica e chirurgica dei casi più complessi.

“La cardiomiopatia ipertrofica è la patologia genetica cardiaca più diffusa e in Italia riguarda una persona su 500 – ricordano i co-presidenti del congresso, Franco Cecchi del Dipartimento di Scienze cardiovascolari, neurologiche e metaboliche dell’Irccs Istituto Auxologico ospedale San Luca di Milano, e Iacopo Olivotto, docente di malattie cardiovascolari dell’università di Firenze, responsabile dell’Unità Cardiomiopatie dell’ospedale universitario Careggi – Nei pazienti c’è un difetto nei geni delle proteine contrattili del cuore, che ingrossa il muscolo cardiaco e che spesso nei pazienti giovani consente ottime performance sportive. Lo sforzo che ne deriva porta però ad alterazioni strutturali progressive: il cuore si ispessisce, diventa più fragile e con il tempo può andare incontro ad aritmie, insufficienza cardiaca e morte cardiaca improvvisa”.

“L’esordio della malattia sintomatica è in genere fra i 20 e i 40 anni e finora si raccomandava ai pazienti di non praticare sport, temendo un maggior rischio di aritmie e morte cardiaca improvvisa. In realtà – rimarcano gli specialisti – una restrizione indiscriminata e sistematica per tutti i pazienti non è giustificata. Negli adulti con forme lievi è possibile consentire l’attività fisica dopo un’attenta valutazione del singolo caso e con opportune cautele, dopo aver verificato per esempio che non vi siano aritmie e che sia mantenuta una buona capacità funzionale, ma soprattutto che ci sia un basso rischio di morte improvvisa a 5 anni”.

Quanto allo studio che suggerisce l’utilità negli sportivi adulti di uno screening per cardiomiopatia in casi selezionati, “i dati raccolti – riferiscono Cecchi e Olivotto, coordinatori del lavoro – dimostrano che le anomalie strutturali che potenzialmente predispongono alla morte cardiaca improvvisa sono rare in bambini e ragazzi. Uno screening che associ l’ecocardiografia per la valutazione della cardiomiopatia ipertrofica alla consueta visita medico-sportiva, che include l’anamnesi familiare, la valutazione clinica e l’elettrocardiogramma, non è perciò utile nei più giovani in termini di rapporto costo-beneficio”.

“Diverso è invece il caso degli adulti: le anomalie – puntualizzano gli esperti – sono state identificate soprattutto negli sportivi che hanno superato la pubertà e negli over 55. Fra i 19 e i 35 anni, infatti, il 19% è stato inviato all’ecocardiografia e in appena il 2% l’esame di approfondimento ha evidenziato anomalie”, mentre “negli over 55 queste percentuali salgono rispettivamente al 38 e all’11%. I protocolli dovrebbero perciò essere ottimizzati modificandoli a seconda dell’età, prevedendo test più approfonditi negli atleti senior”.