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Medicina: Alzheimer, da ricercatori anche italiani il primo neurone bionico

Roma, 23 nov. (Adnkronos Salute) – Realizzato, anche grazie a ricercatori italiani, un neurone artificiale su microchip che potrebbe battere Alzheimer e demenza. Come per le coronarie, infatti, per le sinapsi cerebrali il chip fungerà da bypass sostituendo le funzioni perse a seguito della morte delle cellule cerebrali. I risultati raggiunti e le prospettive future del neurone bionico saranno presentati e discussi in una lettura ad invito promossa dall’Associazione per la ricerca sulle demenze (Ard Onlus) durante il XVI congresso Sin-Dem che si terrà a Firenze dal 25 al 27 novembre.

“I neuroni su chip – spiega Claude Kanah, docente e ricercatore di informatica e cibernetica – sono già una realtà. Oggi i microchip sono quadratini di 5 millimetri quadrati di superficie, in futuro potranno essere rimpiccioliti fino al diametro di un capello per essere impiantati nel cervello umano. A oggi questi neuroni artificiali sono stati testati in vitro, su neuroni in coltura, e in vivo, su ratti nei quali sono stati impiantati in aree critiche come l’ippocampo, una zona del cervello fondamentale per i processi di memoria, la cui funzionalità viene meno in caso di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer”.

“Gli esperimenti condotti finora – sottolinea il ricercatore – hanno dimostrato che questi neuroni di silicio (quindi artificiali) si comportano come quelli biologici: rispondono cioè alle variazioni delle correnti elettriche cerebrali, il mezzo con cui ‘dialogano’ i neuroni, e possono trasmettere ad altri neuroni queste informazioni sotto forma di impulsi elettrici”.

I neuroni su chip potrebbero perciò funzionare come un ‘ponte’ che ripari una comunicazione interrotta o danneggiata. I test finora condotti sugli animali da Alain Nogaret dell’università di Bath, Elisa Donati e Giacomo Indiveri dell’Università di Zurigo e altri ricercatori delle Università di Bristol e Auckland, mostrano che questi neuroni a stato solido (Ssn) sono capaci di comportarsi come i neuroni biologici, rispondendo in maniera quasi completamente identica a seguito di numerosi e differenti stimoli. I neuroni bionici, inoltre, hanno bisogno di pochissima potenza per funzionare, appena 140 nanoWatt ovvero circa un miliardesimo del fabbisogno energetico di un microprocessore standard.

“Significa che sono impianti semplici da gestire, perché – osserva Claudio Mariani, presidente Ard Onlus, già professore di neurologia all’ospedale Sacco di Milano – possono sfruttare le piccole correnti generate continuamente e fisiologicamente dai neuroni biologici per funzionare. L’obiettivo sarà far sì che i neuroni su chip siano auto-alimentati a bassa potenza, così da adattarsi al feedback fisiologico in tempo reale e da attivarsi autonomamente, appena innestati, sfruttando i potenziali elettrici delle reti neuronali presenti. Inoltre si tratta di sistemi che – sottolinea Mariani – lavorano con una tecnologia analogica e quindi continua, non binaria come il digitale”.

“Tutti i sistemi biologici – ricorda l’esperto – si basano su processi continui e aver scelto questa strategia significa poter mimare il comportamento di un neurone biologico con maggiore accuratezza. Oggi sappiamo che questi processori neuromorfici possono dialogare con i neuroni biologici perché ‘parlano’ la stessa lingua, fatta di segnali elettrici. Il prossimo passo – conclude – sarà provarli per esempio su topolini che, modificati geneticamente, sviluppano l’Alzheimer, per capire se e come possano vicariare le funzioni dei neuroni danneggiati, consentendo performance di memoria migliori”.

“Vista la velocità degli avanzamenti nelle scienze cibernetiche, che evolvono per il quadrato del tempo – prevede Leonardo Pantoni, direttore dell’Unità Complessa di Neurologia del Sacco di Milano – è plausibile che entro i prossimi cinque-dieci anni avremo non solo un neurone artificiale funzionante una volta innestato nel cervello umano, ma perfino reti di neuroni artificiali che potranno essere impiantate per esempio in aree colpite dalle placche amiloidi dell’Alzheimer o da altre patologie degenerative, per lavorare in parallelo con i circuiti rimasti e aiutare i neuroni biologici a continuare a svolgere i loro compiti”.