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Mamme italiane poco sostenute nell’allattamento: il 90% inizia ad allattare in ospedale ma a sei mesi solo il 5% continua in maniera esclusiva

Una occasione  persa, scuotono la testa i pediatri italiani, quella di garantire ai neonati l’allattamento esclusivo almeno sino ai sei mesi di vita, come raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità.  Le percentuali italiane sono desolanti: secondo i dati del 5° Rapporto di aggiornamento della Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (2012)  il 90% delle madri inizia ad allattare in ospedale ma al momento delle dimissioni  la percentuale si colloca ben al di sotto e  in alcune realtà italiane non supera il 30%. Solo negli Ospedali amici dei Bambini, cioè quelle strutture  in cui viene favorita l’alimentazione con  latte materno secondo il decalogo OMS-Unicef, si registrano al momento delle dimissioni tassi  dell’80% con punte del 100%.  E una volta che le donne giungono a casa le cose non vanno meglio. Benché l’allattamento al seno nel primo semestre di vita sia in aumento,  quello esclusivo, senza  integrazioni con  latte di formula,  resta un evento raro: la media italiana sui aggira intorno al 5%, una stima, in quanto non esiste un sistema omogeneo di raccolta dati in tutte le Regioni.

 Eppure i benefici, non solo per il bambino ma anche per la mamma,  sono ben noti. A confermarlo una recente revisione Cochrane di Donald Kramer della McGuill University di Montreal illustrata dallo stesso Kramer al Congresso SIP. Dalla review risulta che i bambini allattati esclusivamente al seno per 6 mesi presentano meno infezioni intestinali rispetto a quelli alimentati in maniera mista a partire da 3-4 mesi, senza alcun deficit di crescita. Questo vantaggio è stato rilevato sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo e alla stessa conclusione è arrivata l’Accademia Americana di Pediatria (AAP) nello statement pubblicato nel 2012. Dopo i sei mesi è possibile passare all’alimentazione complementare introducendo progressivamente cibi solidi e semi-solidi.

 Bisogna inoltre considerare gli effetti positivi non solo per il bambino, ma anche per la sua mamma”, sostiene Giuseppe Davanzo Presidente del Tavolo Tecnico Operativo Interdisciplinare per la Promozione dell’Allattamento al Seno del Ministero della Salute. ”La letteratura documenta come allattare al seno più a lungo, anche in maniera non esclusiva, riduce il rischio di tumore della mammella e dell’ovaio ed anche di osteoporosi”.

 “Le ultime segnalazioni della ricerca evidenziano ulteriori proprietà benefiche del latte materno”, spiega Claudio Maffeis direttore dell’Unità di Diabetologia, Nutrizione Clinica e Obesità in Età Pediatrica dell’ULSS 20 e Università di Verona,  “, tra queste due le più importanti, che consistono nel reperimento nel latte umano di numerosi ormoni coinvolti nel meccanismo di regolazione del rapporto fame/sazietà e anche di microorganismi di origine materna in grado di influenzare la composizione della flora microbica intestinale. Entrambe i fattori esercitano rilevanti riflessi sull’ “imprinting” metabolico del piccolo, con possibili effetti positivi a lungo termine sul rischio di sviluppare obesità”.  

 Tutti concordi, dunque, sulla necessità di favorire l’allattamento esclusivo al seno nei primi sei mesi. Ma come?  C’è ancora molto da fare” sostiene Renato Vitiello, coordinatore della task force per l’allattamento al seno della SIP. “Le donne devono essere maggiormente informate del valore di questa scelta e motivate con un aiuto paziente che parta sin dai primi giorni. La dichiarazione OMS/Unicef con i 10 passi per promuovere l’allattamento nelle neo mamme  non è ancora adeguatamente diffusa nei punti nascita e gli Ospedali Amici dei Bambini coprono solo il 3,5% dei nati in Italia.”

 “Ma le donne vanno sostenute anche nella fase successiva, quando rientrano a casa”, conclude il Presidente della SIP Giovanni Corsello.  “La crisi economica dovrebbe stimolare l’allattamento al seno, dato che non comporta alcun costo aggiuntivo, solo che molte donne sono costrette a rientrare al lavoro prima dei sei mesi di età del bambino a causa di contratti di lavoro atipici che non prevedono adeguate tutele nel periodo della maternità, e mancano nidi aziendali che consentano alle madri di allattare mentre sono al lavoro”.