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“L’instancabile” robot anestesista: può lavorare fino a 14 ore

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anestesia-raquideaGli anestesisti possono contare sempre di più sugli assistenti che non cedono alla stanchezza. Si tratta del robot anestesista, messo a punto già nel 2008 in Francia nell’ospedale Foch di Parigi ma che si sta sempre più diffondendo in Europa. Secondo gli esperti l’anestesista robot cambia  il modo di gestire l’anestesia con il vantaggio di compattare in unica struttura tutti i sistemi di monitoraggio ma non può sostituire l’anestesista. A tal proposito ne abbiamo parlato con Antonio Corcione, direttore di anestesia e terapia intensiva all’azienda ospedaliera dei Colli di Napoli

Qual é lo stato dell’arte dell’anestesia robotica e quali sono le nuove prospettive?

“Nel linguaggio comune, un robot è un’apparecchiatura artificiale che compie determinate azioni in base ai comandi che gli vengono dati. Risponde, sia in base alla supervisione diretta dell’uomo, sia autonomamente, secondo linee guida generali, sfruttando processi di intelligenza artificiale. Un sistema automatico capace di somministrare l’ anestesia e di monitorarla durante tutte le fasi di un intervento chirurgico è in sperimentazione dal 2007 in Francia. Sviluppato dai medici dell’ Ospedale Foch di Parigi,  il robot punta ad agevolare il lavoro degli anestesisti, controllando l’ anestesia e intervenendo al momento opportuno per la gestione farmacologica dell’anestesia”.

Il robot anestesista  può seguire interventi complessi che durano anche molte ore? Quali possibili rischi?

“Già nel 2008 il robot è stato impiegato in Francia in più di 500 interventi, anche  per chirurgia ad alta complessità e di lunga durata (fino a 14 ore).  Il sistema rappresenta una integrazione dei comuni sistemi di monitoraggio elettroencefalografico della profondità dell’anestesia e del blocco della trasmissione neuromuscolare, con l’aggiunta di  un software integrato per la gestione dell’infusione dei farmaci anestetici in relazione alle caratteristiche antropometriche del paziente. Allo stato attuale l’utilizzo dei sistemi di monitoraggio della profondità del piano anestetico, della miorisoluzione, dell’analgesia, dei sistemi infusionali dei farmaci nonché il monitoraggio emodinamico del paziente sono già effettivamente un patrimonio presente nella realtà clinica quotidiana di ogni anestesista. Ad esempio, il BIS (Bispectral index) per il monitoraggio della profondità dell’anestesia, l’ANI (Analgesia Nociception Index) per il monitoraggio dell’analgesia, il TOF (Train of Four) Watch per il monitoraggio della miorisoluzione sono già sistemi adoperati in diverse sale operatorie. Purtroppo,  l’integrazione di tali sistemi in un unico robot anestesiologico, come rilevato già da numerosi studi di ingegneria clinica dedicati in tal senso, può determinare la perdita di attendibilità dei singoli dati perché l’interfaccia tra le varie strumentazioni è spesso complessa, non di facile realizzazione, e non sempre garantita dalle aziende produttrici”.

Quali vantaggi per i chirurghi  con un controllo automatico dell’anestesia?

“L’ idea di automatizzare l’ intera procedura, costruendo una macchina capace di eseguire le varie fasi dell’anestesia, è nata dalla necessità di ottenere un controllo più preciso dell’ anestesia. Ciò di fatto si traduce in una migliore gestione anestesiologica del paziente nel raggiungimento di una serie di obiettivi ottimali che mirano a migliorare la qualità dell’attività chirurgica. Ad esempio un miglior controllo della miorisoluzione consente in laparoscopia di ottenere una buona esposizione del campo chirurgico, riducendo il grado di insufflazione dell’addome, con una migliore stabilità emodinamica e un miglior controllo del dolore postoperatorio”.

E’ vero che con il robot anestesista si evitano di più i brutti risvegli?

“Studi scientifici hanno dimostrato che il rischio di Awareness esiste in una proporzione variabile di pazienti  dall’ uno ai dieci casi per mille, determinando conseguenze quali insonnia, incubi, irritabilità, angoscia, sensazione di annegamento o soffocamento, e, nei casi più gravi, la cosiddetta sindrome post traumatica da stress. Per ovviare a queste problematiche l’anestesista si può avvalere di sistemi di monitoraggio della profondità del piano anestetico, quali il BIS, il CSM (Cerebrale State Monitor), l’Entropia, l’AEP (Auditory Evoked Potentials), che forniscono un dato valido e sicuro consentendo di titolare i farmaci ipnotici al fine di evitare le complicanze sopradescritte”.

In quali Paesi europei  è più diffuso il robot anestesista?  In Italia quali sono gli ospedali che praticano l’anestesia robotica?

“Attualmente il robot anestesista è già stato sperimentato in Francia, in Belgio, in Germania ed in alcuni Centri in Italia (Pavia),  tuttavia  ribadisco che l’anestesia robotica nasce dalla necessità per l’anestesista, figura imprescindibile ed insostituibile, di effettuare la propria prestazione in regime di assoluta sicurezza  con strumentazioni idonee a rendere il proprio atto anestesiologico il più possibile monitorizzato e personalizzato sulla base delle caratteristiche del paziente. Ciò è già realtà nelle nostre sale operatorie, ove i sistemi di monitoraggio sopradescritti consentono di gestire ogni singola componente della pratica anestesiologica”.

Con il robot anestesista come cambia la figura dell’anestesista? 

“Come in precedenza ribadito, non cambia la figura dell’anestesista, ma cambia il modo di gestire l’anestesia con il vantaggio di compattare in unica struttura tutti i sistemi di monitoraggio; come il robot chirurgico non può e non deve sostituirsi al chirurgo ma può aiutarlo ad effettuare in maniera più precisa, quando sussiste l’indicazione, determinati atti chirurgici, analogamente il robot anestesiologico non può sostituirsi all’anestesista”.

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