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“ La vera medicina o i veri mali e i veri rimedi del dottor Vincenzo Fusco da Venafro ”

Il regalo inaspettato di un libro, da parte di un giovane bibliofilo e tenore molisano, mi ha fatto conoscere un singolare personaggio del XIX secolo. Vincenzo Fusco, medico di Venafro in provincia di Isernia, autore di commedie, di testi di botanica, di enologia, di geografia, di medicina, professore in Medicina e Chirurgia dell’Ospedale Civile e Militare e socio di molte Società Reali.

Il suo testo “La Vera Medicina o I Veri Mali e i Veri Rimedi del Dottor Vincenzo Fusco Da Venafro”, fu stampato a Napoli nel 1852 dalla Tipografia di Andrea Festa sita nella Strada Carbonara n. 104. La singolarità del libro è racchiusa tutta nel modo di affrontare la patologia, non solo seguendo il metodo accademico, ma utilizzando anche un tono quasi scherzoso, ironico, con un’impostazione terapeutica tesa nel convincere il paziente a far uso della lettura di testi specifici per ogni malattia.

Ci fa sorridere e riflettere, tra i vari quadri clinico-terapeutici, la scelta attuata per curare le Convulsioni: basterebbe, secondo il professore, leggere le opere di Dante, Orazio e di Walter Scott, e “allontanamento dai negozi, placidezza di spirito, religione vera e viva, carità sollecita e certa, caffè, qualche bibita magnesiaca, l’etere, calmanti, stramonio, zinco, fava di S. Ignazio, oppio, laudano, valeriana, ammoniaca; gioco di qualche biglietto al lotto, teatro, musica gratuita qual è quella della banda militare, passeggiate in tempi belli e corse in carrozza nei men belli”. Vincenzo Fusco ritiene la Febbrela veste indivisibile di tutti i morbi…”, da trattare leggendo la “Fisiologia delle passioni” di Alibert, la “Geografia” di Balbi, la “Vita Nuova” di Dante. Sarà conveniente assumere “qualche emetico, qualche purgante, e la manna in preferenza, aria nuova ed in altro paese, qualche bagnetto fresco, ricorrendo al “confirmato nemico della febbre il solfato di chinina, ed in mancanza peperino, salicina, solfato di fillirene, alla gomma o foglie degli olivi, al pruno cucumilia, alla cariofillata. Qualche maturo frutto o portogallo, insalata sempre, lungi il vino misturato, lungi i liquori spiritosi, le ricordanze antiche, le stolte vecchiarelle, la cattiva compagnia, e l’amara solitudine”. Per curare le Infiammazioni è necessario stare lontano “ dalla collera, dalla viva luce, dalle disperazioni, dalle vendette, dalle bestemmie, dalla polvere, dal fumo, dal pepe, dagli stimolanti, dai cibi assai caldi.” Al contrario giovano molto, secondo Fusco, “cibi assai cotti e freddi o meglio dieta, sciroppi di mandorle amare e di viole, acqua di fiori di tiglio, di sambuco, di lauroceraso, belladonna, lattuga, gramigna, salassi generali e locali, bagni naturali, clisteri rinfrescanti, suono di pianoforte”. Come vero antiflogistico sceglie “il dolcissimo Chateaubriand, le amene poesie e le inebrianti prose di Gozzi, Parini, Pindemonte”.

Nel caso della Cefalea bisogna leggere poco, e non libri scientifici, andranno bene quelli comici, tipo Goldoni, La Fontaine. Come rimedi opportuni saranno vantaggiosi “cibo regolare, respirazione di aria pura, riposo di anima e di corpo, emissioni sanguigne, lavar la fronte con acqua fresca ed aceto, pediluvi, frizioni, le mosche di Milano, la lattuga sativa, bibite di valoroso caffé, suono dell’harmonium”. Per il Reumatismo è necessario cambiare il solito tenore di vita,

fuggire l’inerzia la mollezza l’avarizia il focolaio il custodirsi troppo dall’azione delle alternative atmosferiche; astenersi dalle bevande assai calde, dalla pecoresca taciturnità, dall’apatia, dall’usura, dai soliloqui, dal ballo saltante, dal sudore più-più e raffreddamento, dai venti pioggia fonti fiumi serenate conviti spettacoli affanni ecc.; ma in vece fare i panni caldi e mattoni sulle parti addolorate anche colla stoppa o con sacchetti di crusca calda; usar la flanella, linimento volatile o l’etere solforico all’esterno; così l’antrakokali, il vessicatorio di Wenterss, mignatte diaforetici nitro decozioni de’ fiori di sambuco zucchero siero acqua solfurea elettricità stufe piediluvi bagni a vapore; suono di Orfeo. Sono sollevanti le letture de’ libri ameni, come le opere di Michead, i viaggi pittoreschi “. Il Catarro, secondo lui, avviene più volentieri in quelli che hanno più sensibilità, “come sono i ragazzi i giovanetti i convalescenti i vecchi le signorine i gracili e vili”.

Come terapia usare “qualche salasso, i decotti di malva, di altea, i fiori di sambuco, di tiglio, i mucilagginosi, siroppi di melappie, d’ipecacuana, le tavolette pettorali, le gomme arabiche ed ammoniache: l’umile issopo, il valente lichene, la benefica poligala virginiana, il chermes digitale stufe maniluvi caldi acqua solfurea latte. […] Leggere la biografia degli uomini illustri, per seguire le virtuose azioni ed evitare i catarrali vizi ed errori. Imitando, per quanto è possibile, la placida vita di Augusto e di Orazio, di Tito e dei filosofi veri e cattolici si avrà non il catarro, ma la bella ed invidiabile pace, il riposo, l’amico sonno, in somma la salute, l’unica, la preziosa ricchezza nostra”.

In tutti i casi di Pazzia, al demente è utile fargli aprir la vena, applicargli le mignatte; somministrargli lo stramonio, l’inalare, il cloroformio, bagni freschetti, neve sul capo, aria fresca. Indi belle rappresentanze, liete lusinghe, illusorie speranze, cibo scarso ed adattato; tenerlo occupato con belli sollevanti discorsi e dolci suoni, anche con qualche lieve lavoro meccanico; rammentargli mai la disgrazia, l’ingiustizia, l’abuso sofferto; lungi le battiture, che sanno del barbaro e del disumano; niuna lettura per non preoccupare il cerebro avvantaggio; ed in caso si desiderasse, allora se gli permetteranno i libri di Coquelet, scorrendone il calendario de’ pazzi; di Diogene, di garzoni, in dove apprenderà con pruova che la pazzia estende il suo impero su tutti gli uomini, e non esservi grande ingegno senza pazzia”.

Nella Colica addominale sarebbe opportuno leggere le poesie estemporanee di “Gianni, di Regaldi, della Taddei”, unendo con profitto “ i salassi, i clisteri sedativi, gli oli di ricino, sale inglese, cremor di tartaro, camomilla, papavero, oppio, carbonato di soda, acqua de’ Bagnuoli media acetosella, il liquore litontrittico di Palmieri, le mignatte, i mattoni o panni caldi, i brodi semplici”. Questo è solo un “assaggio” della sua trattazione clinico-terapeutica racchiusa nelle 196 pagine del libro. Vincenzo Fusco, certamente, ha attinto alle regole della Scuola Medica Salernitana, da cui ricava alcuni precetti, ma ciò che colpisce è la sua chiara visione della patologia trattata. Segue un indirizzo che potremmo considerare di tipo “olistico”, proprio perché inquadra il malato nella sua globalità di corpo, mente e spirito: ecco svelata la sua attualità.

Nella sua conclusione, rileva che “la vera ricchezza è la quiete, la contentezza e la salute”. Se noi, quindi, apprezziamo la pace, la salute e la longevità, “lungi la misantropia, le speculazioni dannose, l’egoismo, il far male al fratello”. (Antonino Picciano)