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Junk food a scuola non fa ingrassare: “Più dannose le cattive abitudini”

 

Retromarcia sul fronte obesità: i distributori automatici di merendine e bevande gassate a scuola non fanno ingrassare gli studenti, o comunque non sono la causa principale di sovrappeso fra i ragazzini, almeno tra quelli delle classi intermedie. Più della disponibilità di ‘cibo spazzatura’ nei corridoi scolastici, contano le cattive abitudini in famiglia o nel tempo libero. Ad assolvere le macchinette erogatrici di junk food è uno studio americano, coordinato da Jennifer Van Hook, docente di sociologia e demografia alla Pennsylvenia State University.

Una conclusione a sorpresa, che non piace nemmeno agli autori della ricerca: “Siamo stati veramente stupiti dai risultati ottenuti, tanto che abbiamo aspettato 2 anni a diffonderli”, spiega Van Hook. Alla fine, però, gli studiosi hanno dovuto arrendersi all’evidenza: “Cercavamo un legame che, semplicemente, non c’era”, precisa la ricercatrice che insieme ai colleghi ha firmato il lavoro pubblicato su ‘Sociology of Education’, condotto su un campione di oltre 19 mila alunni seguiti nel quinto e nell’ottavo grado scolastico (a 10-11 anni e a 13-14), nei periodi 2003-2004 e 2006-2007.

Insomma, se è vero che dai primi anni ’70 negli Stati Uniti la percentuale di bambini obesi è triplicata, i distributori di patatine, caramelle, cioccolato e bollicine vanno tolti dal banco degli imputati. La colpa sta altrove, osservano sociologi e demografi: “La scuola – provano a spiegare – rappresenta solo una piccola parte dell”ambiente alimentare’ dei ragazzi. I giovani, infatti, possono procacciarsi il cibo a casa, dai vicini, nel tragitto da scuola a casa”, quindi concentrarsi sulla merendina in classe è fuorviante. Non solo: “Oggi a scuola gli studenti sono impegnatissimi, perlopiù riescono a mangiare solo in determinati orari, quindi non hanno troppe opportunità di nutrirsi. O comunque non potrebbero alimentarsi all’infinito, rispetto a quanto invece possono fare a casa”.

I ricercatori hanno calcolato che il 59,2% degli studenti del quinto grado e l’86,3% di quelli dell’ottavo frequentavano scuole in cui veniva venduto junk food. Nei 3 anni, quindi, aumentavano gli alunni che potevano accedere al cibo spazzatura. Eppure, a questo incremento non corrispondeva un trend analogo dei tassi di obesità. Anzi: la percentuale di studenti obesi o sovrappeso diminuiva dal 39,1% nelle classi di quinto grado al 35,4% in quelle di ottavo grado.

Numeri ai quali gli studiosi guidati da Van Hook e dalla co-autrice Claire E. Altman hanno faticato a credere. Specie considerando la diffusa convinzione che la scuola possa fare molto per la lotta all’obesità infantile, cominciando dal rinunciare al business merendine. “Alla luce di questo ci aspettavamo di trovare un collegamento definitivo fra vendita di junk food a scuola e aumento di peso”, spiega Van Hook. Invece non è stato così e ora, avverte il team Usa, non si può più credere che la disponibilità di cibo spazzatura nelle scuole possa davvero fare la differenza in fatto di ‘stazza’ dei bimbi.

Ma i sociologi sono arrivati anche a un’altra conclusione, ossia che la lotta ai chili di troppo in età pediatrica deve iniziare precocemente, già nei primi anni di vita dei bambini. “Gli studi – aggiunge Van Hook – hanno dimostrato che molti bimbi sviluppano i propri comportamenti alimentari e il gusto per alcuni cibi, piuttosto che per altri, già in età prescolare. E le abitudini imparate da piccoli si consolidano crescendo”, quindi le ‘tentazioni’ alle quali i ragazzini sono esposti a scuola “non sono gran che importanti”.