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Ipercolesterolemia Familiare: anche i giovani a rischio infarto

Congresso laziale dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri

pobraneL’Ipercolesterolemia Familiare (FH) è una patologia ereditaria che colpisce più di 120.000 italiani, di cui circa 12.000 nel Lazio, caratterizzata da valori di colesterolo da due a quattro volte superiori alla norma. Poco conosciuta e scarsamente diagnosticata, nella sua forma omozigote, l’FH può causare malattie coronariche in età pediatrica e un’aspettativa di vita media intorno ai 33 anni.

Arrivare a una diagnosi precoce è fondamentale per controllare il rischio cardiaco,  grazie a procedure terapeutiche e farmaci ipocolesterolemizzanti consolidati che in molti casi, però, non sono in grado di raggiungere i valori target indicati dalle linee guida internazionali, almeno nella forma più severa che è quella omozigote (HoFH), mentre si stanno affacciando nuove opportunità  che arricchiranno l’armamentario terapeutico del medico. I cardiologi delle strutture ospedaliere laziali si sono riuniti nel Congresso regionale dell’ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri) Lazio per fare il punto sugli aspetti clinici delle affezioni cardiovascolari di maggior impatto sulla popolazione, fra cui l’Ipercolesterolemia Familiare (FH), una patologia ereditaria ampiamente sottodiagnosticata, il cui mancato riconoscimento può portare conseguenze pesanti.

La diagnosi precoce è cruciale ed è compito dei cardiologi, insieme ai medici di medicina generale, che hanno conoscenza diretta del quadro familiare, di porre il sospetto diagnostico: essa consente di iniziare precocemente i trattamenti previsti e contribuire a ridurre il pericolo delle complicanze letali. «Il cardiologo entra in contatto con pazienti con FH per due motivi – spiega Massimo Uguccioni, Direttore UOC Cardiologia UTIC 1, A.O. San Camillo-Forlanini di Roma e Presidente ANMCO Lazio – o per una malattia coronarica, come un infarto in età più precoce rispetto alla media, oppure per valori di colesterolo molto elevati che spingono il medico curante a consigliare al paziente una valutazione cardiologica».

Causata da un difetto a carico dei geni che regolano il recettore per le lipoproteine a bassa densità, il cosiddetto “colesterolo cattivo” LDL, la patologia è caratterizzata da un accumulo di colesterolo totale e di colesterolo LDL nel sangue. Va considerato un segno di allarme da tenere in seria considerazione, spiega il professor Uguccioni, «un colesterolo totale sopra i 310 e valori di colesterolo totale sopra i 230 in bambini o ragazzi al di sotto dei 18 anni». Valori, questi, che devono suggerire uno screening per le forme familiari di ipercolesterolemia nel soggetto in esame e nei suoi familiari di primo grado (Averna e coll. Giornale Italiano dell’Aterosclerosi suppl 1, 2013). Oltre al tasso di colesterolemia, altri indizi della presenza della patologia, da approfondire secondo le indicazioni delle linee guida internazionali, sono una storia familiare di cardiovasculopatie e morte improvvisa precoci, e la presenza di accumuli di grasso ai tendini (xantomi) o ai lati delle palpebre (xantelasmi).

La conseguenza dell’accumulo di colesterolo LDL è un grave danno a carico della parete delle arterie, dove si formano placche aterosclerotiche importanti e, soprattutto, molto precoci, aprendo il varco a malattie cardiocircolatorie che si manifestano molto presto e in forma grave: come sottolinea il professor Uguccioni, «nei soggetti con Ipercolesterolemia Familiare Omozigote il rischio di malattia cardiovascolare in età precoce è sensibilmente più alto rispetto alla norma, e ciò significa infarti già in età infantile. Anche le carotidi sono coinvolte aumentando sensibilmente il rischio cerebrovascolare». Ciò significa purtroppo che, se non adeguatamente diagnosticate e trattate, le persone con FH possono andare incontro a decessi in giovane età: poco dopo i 40 anni nella HeFH ed entro i 30 nella HoFH.

Per l’Ipercolesterolemia Familiare eterozigote esistono terapie mirate ad abbassare il colesterolo (con statine, ezetimibe, resine o fibrati) che assicurano buoni risultati nella maggior parte dei pazienti, ma che spesso non risultano sufficientemente efficaci per chi soffre della forma omozigote. Questi pazienti devono molto spesso ricorrere all’aferesi lipoproteica, che rimuove meccanicamente dal plasma o dal sangue le lipoproteine in eccesso. Pratica salvavita e sicura, l’aferesi deve essere ripetuta nel corso di tutta la vita, in genere ogni 7-14 giorni, quando la sintesi del colesterolo, che non viene bloccata, ne riporta i valori a livelli elevati; e porta inevitabili conseguenze sulla qualità di vita del paziente.

A questi trattamenti si vanno via via ad aggiungere nuove terapie farmacologiche. Tra queste è stata recentemente approvata dall’EMA, Agenzia Europea dei Medicinali, una molecola che appare interessante perché in grado di inibire selettivamente la proteina responsabile dell’assemblaggio e distribuzione delle lipoproteine.