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Dieta mediterranea salva prostata: meno casi di tumore al sud

Grassi saturi, fritti e carne rossa aumentano la probabilità di sviluppare il cancro 

351FDRIl tumore della prostata si alimenta a tavola: una dieta ricca di grassi saturi, fritti e carne rossa aumenta la probabilità di sviluppare il cancro. Lo dimostrano anche i numeri: le Regioni del Nord sono le più colpite mentre il Meridione, patria della dieta mediterranea, è la zona in cui si registra la minore incidenza. La Campania occupa il penultimo posto, seguita soltanto dalla Basilicata, con tassi inferiori di un terzo rispetto al Piemonte ‘maglia nera’ e all’Umbria, regione nota per l’elevato consumo di insaccati e bistecche.

Per giocare d’anticipo sulla neoplasia più diffusa tra gli uomini, che registra 36mila nuove diagnosi nel 2013, si devono quindi privilegiare ortaggi gialli e verdi, olio d’oliva e frutta. Così facendo si può allontanare il rischio di contrarre il tumore che, comunque, rispetto al passato fa sempre meno paura: nell’ultimo decennio la mortalità è diminuita del 10%. Questo grazie anche alle innovative terapie ora disponibili, che consentono un aumento della sopravvivenza e una migliore qualità di vita dei malati. “Nuovi farmaci ormonali (abiraterone, enzalutamide) e chemioterapici come il cabazitaxel sono messi a disposizione dalla ricerca scientifica – spiega il professor Carmine Pinto, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e direttore dell’Unità Operativa di Oncologia Medica del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna, durante il Convegno Nazionale “Personalizzazione e strategia di trattamento nel carcinoma della prostata”, in chiusura oggi a Napoli –. Occorre individuare per il singolo paziente la migliore strategia terapeutica ed impiego sequenziale delle molecole oggi disponibili. È questa oggi la prospettiva per le persone con cancro avanzato. Il nostro obiettivo, quindi, è curare allungando la sopravvivenza ma, allo stesso tempo, migliorare anche la qualità di vita dei malati”.

Due farmaci già disponibili in Italia sono il cabazitaxel, sperimentato nel 2011 nel nostro Paese in 25 centri, nell’ambito di un ampio studio internazionale e l’abiraterone acetato. “Nel 2012 il primo ha ricevuto il via libera dell’AIFA ed è ora a disposizione di tutte le Regioni, il secondo è arrivato ad aprile 2013. A breve potremo utilizzarne un terzo, l’enzalutamide, approvato ad agosto di quest’anno dall’EMA”, aggiungono i proff. Sergio Bracarda, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale S. Donato di Arezzo e Orazio Caffo, Oncologo presso l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento. Trattamenti innovativi quindi, che si inseriscono nella strategia terapeutica del tumore alla prostata: patologia con cui ad oggi convivono ben 217mila italiani.

Un numero davvero consistente di persone, a cui possiamo offrire una delle migliori assistenze al mondo, in ogni angolo del Paese – commenta il professor Giacomo Cartenì, responsabile dell’Oncologia Medica del “Cardarelli” di Napoli – Questa due giorni promossa dall’AIOM, resa possibile grazie ad un contributo educazionale di Sanofi, serve proprio per scattare una fotografia, a livello nazionale, dello stato dell’arte della neoplasia prostatica. Cinque sessioni per discutere di argomenti fondamentali come gli effetti delle terapie sulla qualità della vita, prevenzione, gestione e sostenibilità dei farmaci innovativi tra crisi economica e best practise”. 

La discussione sull’Antigene Prostatico Specifico (PSA) rappresenta uno dei momenti principali del Convegno: la diffusione di questa metodica di dosaggio, introdotta all’inizio degli anni Duemila, ha modificato profondamente l’epidemiologia della malattia. “Il test del PSA non può essere utilizzato in maniera indiscriminata come screening del cancro alla prostata – sottolinea il professor Pinto – La sua sensibilità varia dal 70 all’80% e questo significa che il 20-30% delle neoplasie non viene individuato quando si utilizza l’esame come unico mezzo identificativo. Va eseguito solo quando è necessario, cioè dopo i 50 anni, se vi è familiarità diretta per il tumore e in caso di disturbi urinari”.

Utilizzare il PSA come screening diffuso aumenterebbe il rischio di uso inappropriato di esami e sovradiagnosi, senza portare vantaggi sicuri in termini di riduzione dei decessi. “Le patologie tumorali sono destinate a diventare in poco tempo la prima causa di mortalità a livello mondiale, nei Paesi occidentali così come in quelli in via di sviluppo – afferma Alessandro Crevani, direttore della Business Unit Oncologia di Sanofi Italia – Sanofi è da sempre impegnata nella ricerca di soluzioni e nuovi approcci per dare risposte significative e adeguate alle esigenze delle persone affette da diverse tipologie di cancro, sia in termini di controllo della malattia sia sotto l’aspetto della qualità di vita. In questo percorso di progresso scientifico, crediamo fermamente nel valore della collaborazione con le Società Scientifiche. Il tumore alla prostata, in particolare, richiede un approccio congiunto per essere precocemente individuato e tempestivamente affrontato”.