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Diabete: modello di cura italiano virtuoso; ma a rischio?

La stretta organizzativa e le limitazioni prescrittive degli ultimi anni cominciano a mostrare qualche impatto negativo sulla qualità della cura del diabete in Italia. L’allarme emerge dal XIX Congresso Nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) apertosi oggi a Roma.

 Da un esame dei dati sull’impiego dei farmaci nei 320 Centri di diabetologia aderenti al progetto Annali AMD, rappresentanti quasi il 50% di quelli operanti in Italia, emerge un dato significativo: “un forte ritardo nel cambiare terapia, quando questa mostra dei limiti”, spiega Carlo B. Giorda, Presidente AMD. “Trascorrono in media due anni prima che la cura non più pienamente efficace venga modificata, cambiando tipo di farmaco antidiabete, aggiungendone altri alla terapia di base con metformina o passando all’insulina o aggiungendo le incretine” prosegue Giorda.

 A titolo d’esempio, al momento dell’inizio della cura con insulina basale, l’emoglobina glicosilata media è di 8,9% e anche nei due anni precedenti le persone mostrano valori in media dell’8%, al di sopra di quanto caldamente raccomandato dalle diverse linee guida.

 “Per anni il diabetologo ha avuto a sua disposizione sostanzialmente tre tipi di terapia: metformina, sulfaniluree e glinidi, insulina. Oggi disponiamo di ben nove classi di farmaci con meccanismi d’azione diversi che permettono di adeguare la cura ai diversi profili di persona con diabete tipo 2, in ossequio al principio della terapia personalizzata”, dice Antonino Cimino, curatore del Rapporto Monografia degli Annali AMD “Cambiamento delle terapie nel diabete tipo 2”, presentato al XIX Congresso Nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) apertosi oggi a Roma.

 “Questa inerzia non ha ripercussioni solo sul controllo della glicemia, ma anche di altri parametri del rischio cardiovascolare come il colesterolo, ed espone quindi la persona con diabete a un aumento del rischio complessivo. Non dipende solo da un atteggiamento culturale, ma da condizioni organizzative che, limitando le risorse, soprattutto di personale, inducono forse a minor attenzione da parte del medico. Inoltre, l’utilizzo di farmaci antidiabetici innovativi come gli inibitori del DPP-4, che mostrano ad esempio un ruolo importante nella diminuzione del peso, altro fattore di rischio, risente probabilmente delle limitazioni prescrittive”, dice ancora Giorda.

 Per affrontare la questione dal punto di vista culturale, AMD ha dato il via nel 2009 al progetto SUBITO!, che si pone l’obiettivo di migliorare il compenso metabolico della persona con diabete, riportandone i valori della glicemia alla normalità e mantenendoli costantemente sotto controllo, sin dall’esordio della malattia o comunque alla sua diagnosi, al fine di ridurre il peso delle complicanze cardiovascolari nei successivi 5 anni. “Stiamo agendo anche sul livello politico, per sensibilizzare i nostri amministratori a considerare il reale rapporto costo-efficacia e beneficio di misure economiche che abbiano un impatto clinico su una malattia come il diabete che interessa oggi quasi 5 milioni di italiani, tra diagnosticati e non, e che cresce a ritmi vertiginosi anno dopo anno, con un aumento di oltre il 60% negli ultimi 20 anni. Non distruggiamo il modello virtuoso di cura e assistenza al diabete, che è un fiore all’occhiello della sanità italiana nel mondo” conclude Giorda.

 

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