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Depressione pre e dopo parto: soffrono le mamme, ma anche i papà

Una recente indagine evidenzia una scarsa conoscenza del problema

pobraneIn Italia, circa il 16% delle donne si ammala di depressione in gravidanza o nel post-partum. Per offrire un supporto adeguato in una fase tanto delicata della vita, è nato un progetto di ricerca indipendente finanziato dalla Regione Lombardia e svolto dall’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano, in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna e con la partecipazione dell’Associazione Progetto Itaca. Una recente indagine condotta dall’Osservatorio su oltre 1.000 cittadini evidenzia una scarsa conoscenza del problema. Formare gli operatori sanitari, individuare precocemente la patologia, promuoverne un trattamento tempestivo ed efficace, sensibilizzare la popolazione sul tema. Sono questi gli importanti obiettivi del progetto biennale “Depressione in gravidanza e post partum: modello organizzativo in ambito clinico, assistenziale e riabilitativo”, finanziato dalla Regione Lombardia, allo scopo di creare un modello organizzativo clinico-assistenziale di presa in carico della paziente con depressione perinatale. All’interno del progetto, O.N.Da, da anni impegnata sul tema, ha svolto un’indagine presentata oggi nelle sede della Regione, su 502 donne e 500 uomini lombardi fra i 25 e i 55 anni, al fine di comprenderne le percezioni e i vissuti relativi a questa malattia.

La depressione post-partum è ritenuta dagli intervistati un disturbo grave, che può colpire la donna in seguito alla nascita di un figlio. Il 20% delle partecipanti alla survey dichiara di aver ricevuto una diagnosi di depressione perinatale o pensa comunquedi averne soffertoin mediaall’età di 31 anni e durante la prima gravidanza. Principali fattori di rischio riconosciuti dal campione sono il cambiamento di vita e le nuove responsabilità della neomamma, gli squilibri ormonali, la fragilità e debolezza emotiva, lo stress del parto e il sovraccarico di impegni. Tristezza, irritabilità, senso di inadeguatezza e perdita di interesse sono i sentimenti provati più di frequente dalle pazienti.

Nel complesso, i lombardi si reputano poco preparati su questa patologia: le fonti informative più utilizzate sono l’esperienza diretta o indiretta e il “sentito dire”, oltre a internet e alla stampa. Quasi il50% delle donne intervistate, finché non si scontra con il problema, fatica a ipotizzare che le possa capitare davvero. Tra coloro che ne hanno sofferto, meno della metà ne ha parlato con un medico; chi invece lo ha fatto e ha ricevuto una diagnosi di depressione post-partum si è rivoltaprincipalmente al medico di famiglia (43%), in misura minore allo psicologo (22%) o al ginecologo (19%).

Essenziali, per affrontare la malattia, sono soprattutto la vicinanza e il supporto dei familiari e del partner: dal punto di vista pratico, per far fronte alle attività quotidiane, ma anche su un piano emotivo, attraverso l’ascolto e il sostegno psicologico. Gli uomini senza esperienza personale di depressione perinatale affermano che si sentirebbero coinvolti in prima persona nell’affrontarla, ritenendola quasi un problema “di coppia” (72%); in realtà, solo il 50% di coloro che l’hanno sperimentata si è però sentito partecipe e in grado di supportare la propria compagna.

“Ogni anno, in Italia, la depressione perinatale colpisce tra le 55mila e le 80mila donne”, afferma Francesca Merzagora, Presidente di O.N.Da. “Le evidenze scientifiche mostrano che un disturbo dell’umore, se diagnosticato in ritardo, può avere ripercussioni sulla neomamma e sul bambino.

Secondo quanto emerso dalla ricerca, 1 genitore lombardo su 3 afferma di aver sofferto o che la propria partner ha sofferto di depressione post-partum, soprattutto in occasione del primo figlio.

Il 53% di coloro che l’hanno vissuta, tuttavia, non ne ha parlato con il proprio medico. Tra chi invece non ne ha mai avuto esperienza, solo 1 donna su 4 e 1 uomo su 10 si reputano in grado di riconoscere il disturbo. Sono dati che fanno riflettere e rendono necessario promuovere una maggiore informazione sulla malattia: come identificarla, a chi rivolgersi in caso di difficoltà e come affrontarla. Chi l’ha sperimentata direttamente, oltre ai bisogni di natura pratica ed emotiva, evidenzia la necessità che Istituzioni e Strutture Sanitarie attuino iniziative concrete. In questo contesto si colloca l’iniziativa regionale che ci vede impegnati accanto all’A.O. Fatebenefratelli di Milano e a Progetto Itaca, per supportare le madri in difficoltà, attraverso un’assistenza domiciliare integrata, e i papà mediante la creazione di gruppi di sostegno”.

“In questi 10 anni abbiamo affrontato con grande successo il tema del riconoscimento dei fattori di rischio e dei fattori protettivi nel periodo perinatale”, dichiara  Direttore del Dipartimento di Salute mentale e Neuroscienze dell’A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico e coordinatore scientifico del progetto.“Mancava però una parte importante: andare dalle donne, avvicinarle alla possibilità di avere riconoscimento e cura della propria sofferenza. Solo unendo queste due parti è possibile individuare le aree di maggiore sofferenza, di solitudine, di isolamento, nel quale alcune donne, nel periodo post partum, sono costrette. Un obiettivo oggi raggiunto grazie a questo progetto di ricerca indipendente, finanziato dalla Regione Lombardia, che sta consentendo a psichiatre, psicologhe e pediatre di recarsi direttamente a casa di donne che da poco hanno partorito, per dare conforto, attenzione e cura sia a loro che al loro bambino, per superare questo momento difficile. Una delle situazioni che aggravano la condizione depressiva è la difficoltà culturale e linguistica. Non a caso, molte donne coinvolte sono straniere, libanesi, cinesi, peruviane, o donne che hanno sposato uomini di altri Paesi e culture. È importantissimo creare un clima di interazione e di comunicazione che permetta a tutti, mamme e papà, l’avvicinamento alle cure. Un progetto così straordinario dimostra che è possibile portare assistenza e servizi sul territorio, a domicilio, anche per queste problematiche, a donne che in seguito avranno certamente meno difficoltà ad utilizzare i servizi all’interno delle strutture ambulatoriali o ospedaliere. Il progetto, che coinvolge anche i volontari del Progetto Itaca, comprende infine uno specifico settore dedicato agli uomini, ai padri, perché il nostro obiettivo è rafforzare nel modo più forte possibile tutta la famiglia”.                         

“Un team multidisciplinare che si avvicina alla mamma che soffre di depressione perinatale e alla famiglia per dare assistenza a domicilio: questa è l’innovatività del progetto che stiamo realizzando”, sostiene Luca Bernardo, Direttore del Dipartimento Materno-infantile dell’A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico e coordinatore scientifico del progetto. “L’aiuto viene dato non solamente durante la permanenza in ospedale ma anche a casa, proprio nel momento in cui la neomamma ha più bisogno. Un’équipe dedicata giunge a domicilio e, in particolare, un neonatologo pediatra può parlare con la mamma e visitare il bambino in senso olistico: dal punto di vista armonico, del movimento, della tonicità e della suzione. Questa valutazione consente di dare alla mamma, che è in difficoltà, spesso anche grave, la serenità di cui necessita durante lo straordinario ma, al tempo stesso, difficile percorso della maternità. L’obiettivo finale è di farle comprendere che questa situazione non è determinata dalla sua incapacità o inadeguatezza al ruolo di madre e che è necessario affrontarla con l’aiuto di professionisti dedicati. I problemi di comunicazione che a volte ci sono tra genitore e medico possono essere superati dal modello di presa in carico della paziente proposto dal progetto: un rapporto chiaro, diretto e intimo, come quello che può essere creato nell’ambiente protetto e accogliente della casa, può dare alla mamma la tranquillità necessaria per vivere più serenamente questa fase della vita”.