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Covid, oltre 1 paziente su 10 contagiato in ospedale, studio su prima ondata

(Adnkronos) – Più di un paziente Covid su 10 ha preso l’infezione in ospedale durante la prima ondata di pandemia, secondo uno studio condotto nel Regno Unito e pubblicato su ‘The Lancet’. Gli autori della Lancester University e di altri atenei Gb hanno osservato questo aspetto delle dinamiche di contagio nel primo atto della pandemia con un lavoro che rappresenta uno dei più grandi studi su Covid-19 grave. La ricerca esplora il tema delle infezioni acquisite in ospedale. A firmarla Jonathan Read della Lancaster University (autore principale) con colleghi di atenei britannici tra cui le università di Liverpool, Edimburgo, Birmingham e l’Imperial College di Londra.

I ricercatori hanno esaminato le cartelle di pazienti Covid negli ospedali del Regno Unito arruolati nello studio Clinical Characterization Protocol UK dell’International Severe Acute Respiratory and Emerging Infections Consortium (Isaric), che si sono ammalati prima dell’1 agosto 2020. E hanno scoperto che almeno l’11,1% in 314 ospedali del Regno Unito è stato infettato dopo il ricovero. La percentuale di pazienti infettati in ospedale è anche salita tra il 16% e il 20% a metà maggio 2020, molto dopo il picco di ricoveri nella prima ondata. “Stimiamo che tra 5.699 e 11.862 pazienti ammessi nella prima ondata siano stati infettati durante la loro permanenza in ospedale – scrivono gli autori dello studio – Questa potrebbe essere, sfortunatamente, una sottostima, poiché non abbiamo incluso pazienti che potrebbero essere stati infettati ma dimessi prima che potessero essere diagnosticati”.

Il controllo delle infezioni, evidenzia Read, “dovrebbe rimanere una priorità negli ospedali e nelle strutture di cura”. Analizzando le ragioni per cui molti pazienti Covid si sono infettati in contesti sanitari, Chris Green, dell’Università di Birmingham, elenca per esempio “il gran numero di ricoverati in ospedali con strutture limitate per l’isolamento dei casi, l’accesso limitato a test diagnostici rapidi e affidabili nelle prime fasi dell’epidemia, le sfide relative all’accesso alle protezioni Dpi (mascherine, occhiali, camici e così via) e al loro utilizzo, la conoscenza su quando i pazienti sono più infettivi, qualche errata classificazione dei casi dovuta alla presentazione con sintomi atipici e una sottovalutazione del ruolo della trasmissione per via aerea”.

Ci sono state anche marcate differenze: gli ospedali che forniscono cure acute e generali hanno avuto percentuali inferiori di infezioni nosocomiali (9,7%) rispetto agli ospedali di comunità (61,9%) e a quelli per la salute mentale (67,5%). “Le ragioni alla base di questi alti tassi di trasmissione negli ospedali al culmine della prima ondata devono essere studiate, in modo da poter migliorare la sicurezza e gli esiti per i nostri pazienti”, conclude Anne Marie Docherty, dell’Università di Edimburgo. “Una ricerca è stata ora commissionata – le fa eco Calum Semple, University of Liverpool – per scoprire cosa è stato fatto bene e quali lezioni devono essere apprese per migliorare la sicurezza del paziente”.