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Covid: italiano in team che curò BoJo, ‘malattia a fasi, inizia in silenzio’

Milano, 3 mar. (Adnkronos Salute) – All’inizio è una minaccia silenziosa. Poi per alcuni pazienti è come salire dei gradini, in cima ai quali c’è l’intubazione in terapia intensiva. A descrivere le fasi di Covid-19 è Luigi Camporota, medico italiano di origini calabresi che fa parte dell’équipe di terapia intensiva del St Thomas’ Hospital di Londra, l’ospedale e il reparto in cui è stato ricoverato per Covid anche il primo ministro britannico Boris Johnson ad aprile 2020, prima ondata del nuovo coronavirus.

L’intensivista è autore di diversi studi scientifici e analisi in cui gli esperti approfondiscono le caratteristiche dei pazienti più gravi e dei trattamenti messi in campo e portano il punto di vista delle terapie intensive che sono state in prima linea in uno dei Paesi colpiti più duramente dal virus. Nei lavori in cui figura tra gli autori, pubblicati su importanti riviste scientifiche internazionali, si parla di ventilazione meccanica, dei trattamenti, di come gestire l’insufficienza respiratoria e fronteggiare la tempesta infiammatoria, dei risultati ottenuti con i pazienti. Sono i casi più delicati, complessi. Per esempio, spiega l’esperto all’Adnkronos Salute, “in Ecmo (la macchina cuore-polmone, ndr) tra il 25 e il 30% ha sovrainfezioni batteriche o fungine e quando c’è questa complicanza la mortalità aumenta più o meno del 40%”.

Covid-19 è “una malattia che mostra una storia naturale fatta di diverse fasi”, racconta Camporota. “C’è una fase iniziale in cui vi è un’infiammazione dei capillari polmonari che può essere associata con microtrombi effetto di questa infiammazione. Qualcosa di diverso dai trombi che si formano normalmente per altri motivi. E c’è una patologia polmonare che è in qualche modo invisibile: se si fa una radiografia del torace in questa fase iniziale si trova poco o nulla”.

E c’è questa particolarità in questa fase, segnalata da tutti i medici che si sono trovati faccia a faccia con Covid: “Il paziente ha ipossie, ossigeno basso, ma si sente bene e anche la tolleranza all’ipossia appare superiore. Sembra affannato, ha problemi di respiro, ma non lo percepisce. Solo il 18-35% dei pazienti che arrivano con patologia moderata-severa percepisce dispnea”, spiega Camporota.

“Per questi pazienti terapie come l’eparina o tocilizumab magari sono sufficienti a stoppare la malattia. Ma se non si ferma, comincia la seconda fase: l’edema infiammatorio del polmone diventa più diffuso, il polmone diventa più pesante, c’è più acqua infiammatoria. A questo punto si fa ossigeno o ventilazione non invasiva in forma di Cpap o di altro tipo. Alcuni malati progrediscono ancora in maniera più significativa e richiedono ventilazione invasiva, vanno pronati”, cioè messi a pancia in giù, secondo una manovra particolare finalizzata a migliorare l’ossigenazione.

“Ora – evidenzia Camporota – c’è anche l’idea che la pronazione possa migliorare la situazione anche nei non intubati. Si stanno raccogliendo dati su questo. Noi ci proviamo perché se il paziente si sente meglio guadagniamo un po’ di tempo in attesa che magari gli steroidi e tocilizumab funzionino”. Il tempo è prezioso contro Covid-19. “E per alcuni la corsa della malattia si ferma, per altri no. Non si può nascondere il fatto che una percentuale di pazienti arriva alla terapia intensiva, anche se la mortalità sembra essersi ridotta rispetto alla prima ondata”.