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Coronavirus: studio cinese, ‘in Italia epidemia fino al 6 agosto’

Roma, 5 mag. (Adnkronos Salute) – Secondo un modello cinese la fine dell’epidemia di Covid-19 nel nostro Paese dovrebbe arrivare intorno “al 6 agosto”. Lo studio stima un totale di infezioni in Italia tra 116.114 e 274.378 casi, ed evidenzia come in base ai dati l’allentamento delle misure in Italia “sia arrivato troppo presto”: il rischio è che il nostro Paese si trovi ad affrontare “una seconda ondata di casi” di Covid-19. Ad affermarlo è il team diretto da Wangping Jia del Chinese Pla General Hospital di Pechino, che ha confrontato l’epidemia da nuovo coronavirus nella provincia cinese di Hunan e l’Italia in uno studio su ‘Frontiers in Medicine’.

Per gli studiosi cinesi un intervento governativo “tempestivo e rigoroso” è un fattore chiave nel ridurre la diffusione dei casi Covid-19. “Pensiamo che sia troppo presto per allentare le restrizioni a partire dal 4 maggio”, ha detto Jia. “La potenziale seconda ondata potrebbe arrivare se le restrizioni venissero allentate tre mesi prima” di agosto. “L’Italia non è alla fine del periodo dell’epidemia di Covid-19”, ha sottolineato Jia.

Se Hunan e Italia sono simili per dimensioni della popolazione, circa 60-70 milioni di abitanti a testa, l’impatto dell’epidemia in queste due aree è stato molto diverso (ricordiamo che il primo focolaio in Cina è stato a Wuhan, città nella provincia di Hubei, ndr). Al momento della pubblicazione dello studio, l’Italia aveva il secondo più alto numero di decessi dopo gli Stati Uniti e si collocava al terzo posto per infezioni, secondo il Coronavirus Resource Center dell’Università Johns Hopkins. Il tutto contro poco più di 1.000 casi confermati nello Hunan.

Il team di ricerca ha utilizzato i dati del database della John Hopkins fino al 2 aprile per mappare la tendenza dell’epidemia in Hunan e in Italia. I ricercatori hanno modificato un modello matematico standard noto come modello suscettibile di infezione (Sir) per tenere conto degli effetti di diverse misure di prevenzione.

Il modello ha mostrato che potrebbero esserci in totale 3.369 casi – tra 840-8.013 – in Hunan, con la fine dell’epidemia già avvenuta intorno al 3 marzo. Contro le centinaia di migliaia di casi stimati in Italia e la fine prevista per l’inizio di agosto. Perché questa grande differenza? L’Italia potrebbe non aver implementato misure di prevenzione in tempo, ipotizzano i ricercatori, poiché il modello eSir ha dimostrato che intervenire in anticipo nel caso dell’Hunan ha ridotto drasticamente i tassi di infezione.

Gli autori hanno osservato che “dall’esperienza della Cina, varie misure di controllo, tra cui la diagnosi precoce e l’isolamento di individui con sintomi, le restrizioni dei movimenti, il monitoraggio medico e gli screening in entrata o in uscita, possono impedire efficacemente l’ulteriore diffusione di Covid-19”. Gli autori ammettono comunque che lo studio ha diversi limiti. E’ probabile che il numero di persone infette in Italia e altrove sia superiore al conteggio ufficiale. Inoltre potrebbero esserci altri fattori a influenzare la stima, come ad esempio l’effetto dei ‘super-diffusori’. Nonostante ciò, Jia ha affermato che lo studio chiarisce abbondantemente un punto: “Vogliamo sottolineare che un intervento governativo precoce può ridurre notevolmente il numero di casi infetti, come evidenzia il confronto dei trend dell’epidemia in Hunan e in Italia”.