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Catturato il gene colpevole di una misteriosa malattia dello sviluppo psicomotorio

Ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma lo hanno scovato guardando al Dna di due pazienti. I risultati dello studio sul disordine genomico, noto come sindrome da delezione 17q21.31, pubblicati su “Nature Genetics”. Scoperto da ricercatori della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica di Roma il gene responsabile di una malattia congenita chiamata “sindrome da delezione 17q21.31”, tra le più comuni patologie di natura genetica. Si tratta del risultato messo a segno dall’équipe di Marcella Zollino, professore associato presso l’Istituto di Genetica medica dell’Università Cattolica, e pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Genetics.

Il gene responsabile si chiama “KANSL1” e produce una proteina importante nella regolazione dell’attività di altri geni. Se la proteina KANSL1 è in quantità dimezzata rispetto al normale, come conseguenza della perdita completa del gene o di una mutazione a suo carico, a cascata risulta deregolata l’attività di molti altri geni importanti per lo sviluppo, portando alla sindrome. Questa è caratterizzata da ritardo dello sviluppo psicomotorio, ritardo di crescita nell’età infantile, tipiche caratteristiche facciali e possibili difetti e disturbi aggiuntivi, quali epilessia, cardiopatie congenite, e difetti del sistema nervoso centrale.

La malattia è ritenuta uno dei disordini genomici più frequenti nell’uomo, con prevalenza di circa un paziente su 16.000 nati. Nel DNA della maggior parte dei casi noti di questa malattia vi è una piccola “delezione cromosomica” (ovvero manca un “pezzetto” di Dna) a carico di una regione del cromosoma 17 chiamata 17q21.31. Tale delezione, che per le sue piccole dimensioni non può essere diagnosticata con un esame cromosomico standard, ma solo con le recenti tecniche di citogenetica molecolare (con array-CGH, che è in grado di evidenziare anomalie cromosomiche anche molto piccole tramite il confronto del DNA del paziente con un DNA di controllo), contiene 6 geni “produttori” di altrettante proteine. Tuttavia sono noti alcuni pazienti che non presentano la delezione responsabile, pur avendo un quadro tipico di malattia; ciò ha suggerito che questa sindrome è causata dalla disfunzione di uno solo gene, che poteva essere localizzato nell’intervallo 17q21.31, cioè quello stesso segmento di DNA mancante nei pazienti con la classica delezione, oppure al di fuori di questo segmento, con il quale coopera.“Noi – spiega la professoressa Zollino – abbiamo individuato per la prima volta il gene alla base di questa condizione, chiamato KANSL1. Due pazienti altamente selezionati in base alla valutazione clinica (cioè con un quadro tipico di malattia), entrambi senza delezione nella regione 17q21.31, sono risultati portatori di una mutazione a carico di questo gene”. Il gene KANSL1 codifica per una proteina importante nella regolazione genica e che ha come principali bersagli l’”istone H4” (che è uno dei complessi proteici attorno al quale si impacchetta la doppia elica del DNA per formare i cromosomi) e la proteina P53. “La proteina KANSL1 gioca dunque un ruolo nella regolazione di numerosi geni. Tale attività ‘multipla’ giustifica la molteplicità dei sintomi e la complessità clinica di questa malattia”, spiega la genetista dell’Università Cattolica. Il gene è stato scoperto applicando le attuali tecniche di sequenziamento genomico di nuova generazione, in particolare confrontando la sequenza di tutti i geni di entrambi i genitori sani con quella dei geni della paziente, partendo dall’ipotesi che la paziente fosse portatrice di una mutazione avvenuta “de novo” (assente dunque nei genitori) a carico di uno solo di essi.

La seconda paziente coinvolta nello studio è stata analizzata direttamente tramite l’analisi del gene KANSL1 trovato alterato nel primo caso, e si è confermato il difetto nello stesso gene.

“Aver dimostrato che la sindrome, pur essendo stata descritta inizialmente come sindrome da delezione cromosomica, è in realtà un disordine dipendente da un unico gene ‘difettoso’, e aver individuato questo gene, è la premessa indispensabile per avviare studi su modelli cellulari o animali, che possano consentire la comprensione dei meccanismi molecolari alterati, e possibilmente portare a una terapia diretta a restaurarne il funzionamento”, conclude la professoressa Zollino.