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Al Festival delle Scienze di Roma il neuroscienziato David Linden svela che cosa accade al nostro cervello quando proviamo piacere e fa luce su vizi e dipendenze che la ricerca del piacere può portare

«Sono un biologo! Non so niente della felicità!». Apre con una battuta la sua lectio magistralis mattutina nella terza giornata del Festival delle Scienze ( a Roma da giovedì 17 fino a domenica 20 gennaio), il neuroscienziato David Linden. Il piacere – afferma – è argomento più immediato, può essere misurato su scale temporali, e soprattutto esistono studi scientifici che permettono di comprenderlo.

Proprio sulle interconnessioni tra le varie regioni dell’encefalo e sul circuito del piacere nella corteccia mediale prefrontale, ovvero quella regione del cervello in cui vengono registrate le esperienze gratificanti, il neuroscienziato americano ha cercato di fare luce nel corso del suo intervento. Che cosa accade al nostro cervello quando soddisfiamo i nostri bisogni primari come mangiare, bere, fare sesso? E perché quando assumiamo alcool, droghe, o fumiamo una sigaretta abbiamo lo stesso risultato? Succede anche quando facciamo esercizi fisici o compiamo buone azioni? La risposta è sì, ed è chimica, avendo la sua ragione nel rilascio di dopamina nel cervello quando eseguiamo azioni piacevoli.

Per illustrare un argomento così complesso, Linden ha fatto ricorso, fin dalle prime battute, ad aneddoti divertenti di cui egli stesso è stato protagonista. Nel ’98 – ha raccontato il professore – durante una vacanza a Bangkok ha dovuto subire le insistenti domande di un indigeno alla guida dei tradizionali tuk tuk, le motorette a tre ruote, che mentre lo accompagnava in albergo gli chiedeva con differenti toni di voce se volesse divertirsi in qualche modo: una donna, un uomo, un trans, droga, combattimenti tra galli. Trascurando l’illegalità delle proposte, c’era qualcosa che  univa quelle offerte. Che cosa? Molto semplice, il vizio. E cos’è il vizio se non una ricerca reiterata del piacere?

Potenzialmente tutte le azioni che attivano il circuito del piacere, sono in grado di sviluppare dipendenza e potenzialmente, in percentuali diverse, tutti possiamo svilupparne una. Dipende da fattori genetici (per il 40%) e da esperienze di vita, fattori ambientali, stress. Gli studi hanno dimostrato che l’incidenza della dipendenza sull’uomo è del 4% per l’alcool, 8% per la cannabis, 25% per l’eroina, 80% per il tabacco. Spiega Linden, inoltre, che se chiedessimo a tre soggetti affetti da dipendenza – un giocatore d’azzardo, un eroinomane, un sex addicted – di descrivere le sue manifestazioni, togliendo poi i riferimenti specifici al gioco, alla droga e al sesso, nessuno sarebbe in grado di capire verso cosa i tre soggetti sono dipendenti. Questo perché le traiettorie sono simili, per gli effetti che producono e per il loro essere in grado di modificare per sempre i circuiti del piacere.

Persino gli animali possono sviluppare dipendenza, poiché anche gli animali sono attratti dal piacere anche quando esso non ha alcuna connessione col cibo o con l’accoppiamento. Questo perché la dipendenza è un processo di apprendimento: si torna verso la stessa cosa perché si impara a riconoscerla come fonte di piacere.

Gli studi hanno poi dimostrato che così come i vizi funzionano le virtù, e che l’esercizio fisico attiva i circuiti del piacere così come il compiere buone azioni, fare beneficenza, occuparsi degli altri. Sostenere, dunque, che la beneficenza non risponde al piacere di essere riconosciuti come persone buone, secondo la scienza non è possibile.