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Quando il bambino parla tardi

Studi sui late talkers in Italia e in America: se ne è parlato all’IRCCS Medea di Bosisio Parini

insegnare-a-parlare-300x333Grazie al Language Development Survey (Scala sullo Sviluppo del Linguaggio), uno strumento costruito dalla Rescorla per valutare il vocabolario dei bambini attraverso il resoconto dei genitori, è possibile identificare precocemente i bambini tra i 24 e i 35 mesi che presentano un ritardo nell’acquisizione del linguaggio. Se a 12 mesi i bimbi pronunciano poche parole (mamma, papà, cane), a 18 mesi molti di loro acquisiscono 50 parole e alcune frasi (ancora succo, macchina via, cappello mamma), a 24 mesi ci si aspetta il discorso telegrafico (questa mia tazza, bimbo mangia biscotto) mentre a 3 anni molti bambini usano frasi complete.

In base agli studi della ricercatrice americana, la maggior parte dei late talkers sviluppa un linguaggio nella norma entro i 5 anni, rimane tuttavia costantemente inferiore ai bambini di controllo nelle abilità di vocabolario, grammaticali e di memoria verbale fino a 17 anni, è meno abile nella decodifica della lettura a 8 e 9 anni, peggiora nella comprensione a 13 anni. “Sebbene molti bambini con ritardo precoce del linguaggio abbiano poi una remissione spontanea, per altri non è così – sottolinea la Rescorla – l’ideale è uno screening a 2 anni, un monitoraggio fino a 30 mesi e, se non vi sono buoni progressi, un intervento entro i 3 anni”.

Attraverso la versione italiana della Language Development Survey (presentata per la prima volta in Italia durante un convegno a all’IRCCS Medea di Bosisio Parini)Alessandra Frigerio, dell’IRCCS Medea, ha messo a confronto lo sviluppo lessicale dei bambini italiani e quello dei bambini americani di età compresa tra 18 e 35 mesi. Lo studio, in collaborazione con la Rescorla ed Emiddia Longobardi dell’Università Sapienza di Roma, è stato condotto su un campione di398 bambini reclutati negli asili nido di Erba, Monza Brianza e Roma. I dati mostrano che vi sono molte somiglianze nello sviluppo lessicale dei bambini italiani e americani, sebbene queste siano più evidenti nelle prime fasi di acquisizione e tendano a diminuire con l’aumentare dell’età, quando aumenta l’ampiezza del vocabolario e l’importanza dei fattori culturali.

Per esempio, le parole che riguardano alcuni tipi di cibo, comehamburger e toast, hanno una frequenza più alta nei bambini americani mentre quelle che riguardano la famiglia, come zio, si riscontrano maggiormente nel vocabolario dei bimbi italiani. Inoltre, sono emerse molte somiglianze tra lo sviluppo lessicale dei late talkers italiani e americani, pari circa a poco più del 3% di bambini nel campione italiano e quasi al 4% di bambini nel campione americano. E’ risultato infatti che la composizione del vocabolario dei late talkers italiani e americani è molto simile a quella dei loro connazionali più piccoli, suggerendo un ritardo nello sviluppo lessicale piuttosto che un pattern deviante. 

In ogni caso, è importante valutare nei late talkers le abilità non verbali, il linguaggio recettivo e l’eventuale presenza di problemi emotivo-comportamentali, poiché sono aspetti che possono orientare il tipo di trattamento. Pertanto, occorre confrontarsi anche su interventi riabilitativi specifici e innovativi per prevenire i disturbi del linguaggio o per intervenire nel caso questi si manifestino. 

Andrea Marini, dell’Università di Udine e dell’IRCCS Medea, ha illustrato l’efficacia delle attività di potenziamento linguistico da lui elaborate (giochi con le rime, riconoscimento di suoni, sillabazione…), mentre Andrea Facoetti, dell’Università di Padova e dell’IRCCS Medea, ha mostrato come un training con videogiochi d’azione migliori quelle abilità che sono predittive dell’apprendimento della lettura. Maria Luisa Lorusso, dell’IRCCS Medea, e il Dirigente scolastico Anna Maria Beretta hanno illustrato percorsi didattici sperimentali per l’apprendimento della lingua straniera, nati dalla collaborazione tra il Medea e l’Istituto Comprensivo di Casatenovo.
Catia Rigoletto, dell’IRCCS Medea, ha infine dimostrato l’efficacia di una procedura di insegnamento basata sui principi della Relational Frame Theory.

Ad un campione di bambini tra i 3 e i 5 anni con diagnosi di disturbo del linguaggio è stato proposto un training di 45 minuti al giorno per 3 giorni a settimana per un periodo di 3 mesi finalizzato all’insegnamento della capacità di formare categorie, cioè di trovare delle relazioni tra stimoli arbitrari. L’aspetto particolarmente interessante emerso dai primi risultati risiede nel fatto che insegnando due relazioni tra stimoli target, i soggetti spontaneamente derivavano le altre relazioni esistenti tra gli stimoli, ovvero i bambini apprendevano relazioni senza bisogno di un training diretto. 

Stiamo sperimentando nuovi modelli di lavoro, verificabili con metodologia scientificamente appropriataper individuare le risposte più idonee, per un disturbo molto frequente e che condiziona la vita di molti bambini e delle loro famiglie. – Conclude Massimo Molteni, Responsabile della ricerca in psicopatologia del Medea – “In un mondo che è cambiato drammaticamente e in poco tempo, nel mezzo di una crisi economica senza precedenti, sono necessarie scelte coraggiose e innovative per un welfare rinnovato, inclusivo – cioè equo – aperto al futuro. I bambini sono il nostro futuro su cui scommettere e da cui ricominciare per ricostruire un modello di partecipazione e di solidarietà possibile”.

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