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Progetto ad Arezzo di Oxfam ed Usl per ridurre il ricorso alle interruzioni volontarie di gravidanza da parte delle donne rumene

Il progetto ha un nome lungo, come lungo è il cammino che si sta tentando di fare ad Arezzo “Intervento di promozione della salute per il controllo dell’interruzione volontaria di gravidanza nelle donne immigrate dall’est Europa”. Ma il tema, è evidente, non è affrontabile con una bacchetta magica, ma solo tramite una profonda conoscenza delle ragioni culturali, economiche, sociali, che stanno alla base di questo delicato fenomeno.Oxfam Italia Intercultura da oltre dieci anni si occupa dello studio sulla realtà migratoria (e sui processi di integrazione) in provincia di Arezzo.La scelta di porre l’attenzione sul delicato fenomeno le interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) tra le donne rumene in provincia di Arezzo deriva dalla constatazione che, nonostante una lenta ma costante diminuzione in numeri assoluti, le utenti rumene registrano percentuali elevate di interruzioni volontarie di gravidanze. I ricercatori di Oxfam hanno dimostrato le relazioni con la dimensione sociale del fenomeno e il suo non essere solo e indiscutibilmente un’azione individuale. La ricerca pubblicata anche all’interno del IV Rapporto sull’immigrazione in Provincia di Arezzo (http://provincia.arezzo.it/politichesociali/) evidenzia che molteplici e interdipendenti sono le motivazioni che portano le donne rumene ad interrompere la gravidanza.

UN CONTESTO COMPLESSO E DIVERSIFICATO

Innanzitutto occorre considerare il contesto di partenza ossia i modelli culturali interiorizzati relativi alla salute riproduttiva in Romania. Il loro passato è caratterizzato da alternanza di proibizione e possibilità di praticare l’IVG, accompagnato dall’assenza di informazioni sulla pianificazione familiare e sui metodi di contraccezione mentre il presente è contraddistinto da un livello di conoscenza sulla salute riproduttiva e sui contraccettivi generalmente basso.

Un secondo aspetto concerne le condizioni di vita in Italia delle donne rumene caratterizzate dalle specificità del processo migratorio: fase di adattamento, difficoltà economiche  (occupazione, abitazione, ecc.), civili (regolarizzazione, permessi di soggiorno) e sociali (lingua, amicizie, affetti) spesso accentuano il problema delle gravidanze indesiderate e il successivo ricorso all’aborto. Inoltre ci sono gli aspetti individuali e sociali delle richiedenti IVG che fanno riferimento a problemi economici, con il partner e l’aver raggiunto il numero di figli desiderato o possibile.

Infine dalla ricerca emerge la necessità di riorganizzare e ripensare  il funzionamento dei servizi consultoriali per promuovere non solo la conoscenza, ma anche l’utilizzo della contraccezione tra le donne rumene e non solo.

Oxfam, assieme alla Asl 8, ha individuato un modello di intervento innovativo nel panorama nazionale, che trae spunto dal modello dell’Educatrice Sanitaria di Comunità (Community Health Educator – CHE) della dott.ssa Lai Fong Chiu applicato e sperimentato in Gran Bretagna dal National Health Service.

L’obiettivo del progetto è di prevenire le gravidanza indesiderate e ridurre il tasso delle interruzioni volontarie di gravidanza tra le donne rumene attraverso il modello dell’Educatrice Sanitaria di Comunità (ESC) i cui cardini sono la “peer education” la partecipazione e “l’empowerment”  delle comunità di donne migranti, in questo caso rumene.

PROGETTO PILOTA NELLA NOSTRA REALTA’

Il progetto è iniziato con una ricognizione sociologica (analisi dati presenza rumena; interviste biografiche) dei luoghi di ritrovo e aggregazione delle donne rumene ad Arezzo. Sono state selezionate due donne rumene con il delicato e strategico compito di fare da ponte tra i servizi consultoriali e la “comunità” rumena. Le due donne e gli operatori sanitari hanno partecipato ad una formazione congiunta sul tema della “promozione della salute di comunità”.

La formazione congiunta ha permesso e permette un lavoro di gruppo tra operatori sanitari, Oxfam e le due promotrici di salute.

COME SI ARTICOLA L’INTERVENTO

Innanzitutto è in itinere e le attività sono costantemente monitorate a valutate al fine di reindirizzarlo, avere una dimensione della sua efficacia, comprendere gli insuccessi e comunicare i successi. Il programma di interventi sulla promozione di salute di comunità è multidimensionale. Si è parlato di contraccezione durante due  momenti di ritrovo dei rumeni di Arezzo (festa nazionale e festa di natale); è attivo un dibattito sulla salute riproduttiva e  una promozione del servizio consultoriale su Facebook all’interno del gruppo “Romanii din Arezzo”; è stato realizzato un volantino con i servizi del consultorio in italiano e rumeno e distribuito negli esercizi commerciali rumeni, nei parchi, al centro per l’integrazione ecc..; da gennaio all’interno del “Forum Romanesc”, rubrica settimanale in lingua ospitata dal giornale “Piazza Grande”, c’è una sezione dedicata al progetto; ogni quindici giorni in Consultorio “Prendiamoci cura di noi stesse” in cui un’ostetrica parla alle donne accompagnate dalle due promotrici e tanto altro ancora… tra cui la collaborazione con i Medici di Medicina Generale.

Il valore aggiunto dell’intervento risiede nella sua innovatività e nel coinvolgimento partecipativo degli operatori e delle comunità: in Italia e in Toscana il modello prevalente, ove presente, è ancora quello del servizio di mediazione linguistico culturale “puro e semplice”, senza tentativi di sperimentazione di nuove forme di contatto con gli utenti e con il territorio.

Nota per le redazioni – Chi intende approfondire o avere maggiori dettagli o fare delle interviste, può rivolgersi direttamente alla dottoressa Giovanna Tizzi 3355408512

BOX – SCHEDA

 

Le interruzioni volontarie di gravidanza in Italia sono in costante lieve diminuzione. Ciononostante l’ultimo rilevamento parla di 116.933 casi. La metà esatta di 30 anni fa.

Il numero degli interventi effettuato da donne con cittadinanza non italiana, è  al 33%. Sono invece il 37% le straniere che fanno registrare Ivg ripetute.

In provincia di Arezzo, abbiamo avuto in un anno 546 casi, con 261 (cioè il 47,8%) praticati da donne straniere. La metà di loro sono donne di nazionalità rumena (sono 37.000 gli stranieri residenti in provincia, di cui 13.366 rumeni, pari al 35,5% dell’intera popolazione migrante ed una collettività a forte prevalenza femminile). Va sottolineato, comunque, che per le rumene il fenomeno delle interruzioni di gravidanza si va attenuando.

L’età prevalente delle donne rumene che ricorrono all’aborto è fra i 18 e i 34 anni, ovvero nella fase centrale del periodo riproduttivo. Al contrario per le italiane vi è una polarizzazione nelle fasi iniziali e finali del ciclo riproduttivo, con il maggior numero di interruzioni di gravidanza  tra le giovanissime e le giovani e poi oltre i 30 anni. 

Stato civile: nubili il 49,5% delle italiane e il 47% delle rumene.

Titolo di studio: tra le donne rumene il 47% ha la licenza media, il 46,2% possiedono il diploma superiore. La quota di laureate rumene è del 2,6%, mentre si attesta oltre il 14% per le italiane.

Condizione lavorativa: occupate il 47% delle donne rumene contro il 64,2% delle donne italiane. Le disoccupate rumene sono il 27,4% e il 20,5% sono casalinghe mentre tra le italiane solo il 10,9% è disoccupata e il 9,5% è casalinga.

Dalla ricerca emerge che le condizioni materiali di ordine sia finanziario che di conciliazione sono i motivi principali che conducono le donne rumene alla decisione di interrompere la gravidanza.

Subito dopo seguono i problemi con il partner. Le donne intervistate hanno abortito perché il partner era ritenuto assolutamente non adatto come marito e come genitore; e le maggiori difficoltà segnalate con i partner hanno a che fare con situazioni di violenza domestica e alcolismo.

Un terzo aspetto attiene alla relazione tra maternità e aborto. Alcune donne dichiarano di aver praticato interruzione di gravidanza poiché avevano già soddisfatto il desiderio di maternità (fecondità realizzata): si hanno già figli e almeno per il momento non se ne desiderano altri o non ci sono le condizioni per volerne altri. Il 68% delle donne rumene che ha effettuato interruzione di gravidanza è già madre di figli, che presumibilmente per una parte vivono lontani, nel Paese da cui si proviene.