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Patologie vertebrali: chirurgia minivasiva per ridurre i costi

Il “mal di schiena” affligge, nei paesi industrializzati, circa l’80% della popolazione: in Italia, in particolare, sono circa 15 milioni le persone che soffrono di dolori alla colonna vertebrale, causati da malattie degenerative, e da patologie legate ai traumi. Un fenomeno che comporta altissimi costi, poiché si stima che un paziente su tre deve sospenderetemporaneamente l’attività lavorativa, con conseguenti problemi economici e sociali. Alla luce di queste considerazioni, risulta chiara la necessità di definire l’approccio ottimale alla gestione del paziente con patologie della colonna, alla luce delle valide alternative offerte oggi dalla chirurgia mininvasiva, frutto dei più recenti progressi tecnologici compiuti nell’ambito dei dispositivi medici.

La definizione del trattamento ideale e le problematiche di accesso alle terapie innovative oggi esistenti sono stati alcuni dei temi espressi nel corso del seminario dal titolo: “Nuovi percorsi per l’accesso all’innovazione in chirurgia vertebrale”, tenutosi oggi a Roma presso il Senato della Repubblica, organizzato in collaborazione con Il Sole 24 Ore Sanità e promosso dalla SINCH – Società Italiana di Neurochirurgia insieme all’Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione, con il Patrocinio del Senato della Repubblica e il supporto non condizionato di Medtronic Italia. L’incontro ha visto la partecipazione del Senatore Antonio Tomassini, Presidente XII Commissione Igiene e Sanità del Senato e Presidente dell’Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione, il dottor Giuseppe Lippi, Esperto di Activity Based Costing dell’Azienda Sanitaria di Firenze, il professor Franco Servadei, Presidente Società Italiana di Neurochirurgia (SINCH), il professor Giancarlo Guizzardi, Responsabile Chirurgia Spinale dell’azienda ospedaliero – universitaria Careggi di Firenze, il dottor Natale Francaviglia, Direttore dell’Unità Complessa di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera S. Elia di Caltanissetta e il professor Maurizio Fornari, Responsabile Unità Operativa di Neurochirurgia dell’Istituto Clinico Humanitas di Milano. “Gli indiscussi progressi nel campo tecnologico e l’entrata in uso di diversi sistemi mininvasivi hanno contribuito ad accendere vivaci dibattiti sui tempi, sulle modalità e sulla scelta di un ideale trattamento per le patologie della colonna – dichiara il Senatore Tomassini – Le tecnologie all’avanguardia comportano costi iniziali maggiori, ma, in una prospettiva di lungo periodo il risparmio in termini di accessi impropri sarà evidente.” Nei paesi occidentali la degenerazione della colonna vertebrale è legata, oltre che al naturale invecchiamento dell’organismo, anche allo stile di vita spesso dominato dalle cattive abitudini (sedentarietà e sovrappeso in primis) e dallo “stress”, che determina una contrattura costante e continua dei muscoli. Non tutte le patologie del rachide – discopatie degenerative, ernie del disco, stenosi lombari, fratture vertebrali – possono essere risolte efficacemente con i trattamenti conservativi come fisioterapia, busto o terapie farmacologiche. Quando questi approcci, infatti, risultano fallimentari, è possibile oggi ricorrere ad approcci chirurgici percutanei mininvasivi, grazie anche all’utilizzo di dispositivi all’avanguardia che permettono di far recuperare nel modo migliore l’assetto anatomico – funzionale della colonna vertebrale, a fronte di una riduzione sostanziale del trauma chirurgico, e delle complicanze post operatorie. “La chirurgia delle forme degenerative della colonna vertebrale lombare – dichiara Guizzardi – può essere eseguita da mani esperte, sempre dopo il fallimento della terapia conservativa, con metodiche mini-invasive (purché sempre adeguate), dal costo iniziale lievemente più alto, ma con costi sanitari, sociali e personali per il paziente che, soprattutto alla distanza, sono minori che in passato, come dimostrano gli ultimi studi. Alla conoscenza di tali metodiche, al loro rigore scientifico, alla corretta indicazione chirurgica e a un’adeguata scelta dei numerosi devicesoggi disponibili, sul mercato deve però corrispondere un aggiornato riconoscimento economico da parte del nostro SSN.” Questa considerazione ovviamente si lega con le problematiche di accesso alle terapie innovative oggi esistenti.Definire adeguati sistemi di remunerazione per tali terapie, in grado di coprire i costi finali dell’ospedalizzazione e conseguentemente garantire l’accesso all’innovazione, diventa presupposto imprescindibile per la garanzia della qualità delle cure. Molti degli attuali rimborsi sono vecchi e non più corrispondenti alla realtà chirurgica, mentre le nuove procedure non sono ancora state prese in considerazione e sono oggi classificate con codici non corrispondenti.” – conclude Guizzardi. Un discorso simile è applicabile anche per le patologie da trauma vertebro-midollari. “L’incidenza dei traumi è notevolmente aumentata proporzionalmente all’incremento degli incidenti stradali e sul lavoro. – dichiara Francaviglia – La popolazione maggiormente colpita è quella socialmente più attiva, di età medio-giovanile. Il trattamento di un trauma vertebrale, sia esso conservativo sia chirurgico ha notevoli costi sociali ed economici in quanto, nel primo caso limita la ripresa delle normali attività lavorative, mentre nel secondo prevede una lunga ospedalizzazione. A ciò devono essere aggiunti i costi per la spesa farmacologica di antidolorifici, antibiotici ed antitrombotici. Una metodica percutanea mininvasiva, come la cifoplastica con palloncino, consente un abbattimento della spesa di ospedalizzazione pari a circa 2.000 euro per paziente, poiché si riduce il timing chirurgico, preservando l’integrità anatomica dell’apparato muscolo-ligamentoso e si può dimettere il paziente già in prima giornata post-operatoria, con una rapida ripresa delle attività quotidiane e lavorative. Una “learning curve” appropriata consente di estendere tale metodica anche alle fratture più gravi, riducendo quasi a zero le possibili complicanze.” Proprio l’esame degli aspetti economici dei percorsi sanitari, da analizzare attraverso l’activity-based cost management (il metodo di analisi economica che fornisce dati sull’effettiva incidenza dei costi di ciascun prodotto e servizio venduto) è un punto essenziale da chiarire quando si parla di nuove terapie, al fine di permettere ai decisori di effettuare scelte consapevoli. “Valutare gli aspetti economici dei percorsi sanitari non è mai cosa banale – dichiara Lippi – L’activity-based cost management si propone come una moderna tecnica per gestire attivamente i costi, anziché subirli passivamente a posteriori.” Tuttavia, il solo costo sanitario del percorso terapeutico rappresenta soltanto una parte delle conseguenze economiche che un paziente deve affrontare. La malattia, infatti, costringe il paziente a sottostare alle disposizioni di chi lo ha in cura, influenzando la vita del paziente e spesso dei familiari: in sintesi, gli effetti economici non sanitari rappresentano il “costo sociale” di una malattia, spesso trascurato da analisi contabili focalizzate sulle sole spese sanitarie. “Appartengono al costo sociale tutte le spese non sanitarie direttamente sostenute dal nucleo familiare dell’ammalato (ad esempio i trasporti e gli spostamenti) e i costi indiretti (ad esempio la riduzione del reddito) che influenzano il comportamento economico della famiglia. – prosegue Lippi – Tutto questo senza considerare il ruolo suppletivo diretto svolto dalle assicurazioni sociali, come INPS, INAIL, le quali si sostituiscono al datore di lavoro nel garantire il reddito al dipendente durante la malattia. Di certo i direttori delle aziende sanitarie, ai quali, di solito, vengono proposte solo informazioni relative ai costi sanitari diretti, saranno poco attenti al costo sociale. Altra cosa è il decisore politico, al quale spettano scelte economiche che siano convenienti alla società nel suo insieme. Trascurare gli effetti economici sociali, diretti o indiretti, di diversi atteggiamenti terapeutici nei confronti della stessa patologia, può condurre a risultati finanziari non desiderati.” Protagonista della complessa e delicata gestione economica e organizzativa di un’azienda ospedaliera è anche lo specialista clinico, che ormai deve bilanciarsi tra il ruolo di medico, con un codice deontologico e una missione nei confronti del paziente, per il quale deve garantire la migliore scelta terapeutica, e quello di soggetto che partecipa alle decisioni amministrative della struttura di cui fa parte, su cui pesano le indicazioni della Direzione Generale. Una possibile risposta alla necessità di bilanciare sostenibilità ed efficacia terapeutica potrebbe essere quella di concentrare i pazienti e le risorse in isole di eccellenza. “Quando si parla di patologie spinali, la centralizzazione diventa necessaria, soprattutto nei casi di trauma ed in quelli in cui in cui si eseguono procedure all’avanguardia. – dichiara il professor Servadei – Un primo modello organizzativo di questo tipo è il centro unico unipolare: strutture all’avanguardia caratterizzate dalla concentrazione dell´assistenza a elevata complessità in centri di eccellenza.  Un’alternativa è il sistema in rete, denominato  Hub And Spoke (centri hub) supportati da una rete di servizi (centri spoke).   –in cui il percorso sanitario del paziente è inserito in una rete di centri che seguono gli stessi protocolli. Con questo modello il paziente con patologia vertebrale segue un percorso unico che, grazie a un link telematico, lo porta dalla struttura di pronto soccorso, dove può non essere presente un reparto di neurochirurgia, all’ospedale centrale dove viene operato e infine al centro specializzato per la riabilitazione.” “Il concetto chiave è che, al di là dei diversi sistemi, l’importante è che il percorso sia personalizzato e miri a un’ottimizzazione dei costi. Pertanto, è necessario che, all’interno di questi centri, le patologie spinali siano trattate in volumi consistenti.” – conclude Servadei. Con la centralizzazione in isole di riferimento (come è stato anche messo in luce nel VI Rapporto Meridiano Sanità presentato recentemente), si otterrebbero risultati positivi in termini di efficienza e di efficacia, ovvero qualità delle prestazioni ed economie di specializzazione e di scala. La concentrazione dei pazienti in centri d’eccellenza, per effettuare prestazioni ad alta specialità al di fuori della propria Regione, è un aspetto positivo e talvolta trascurato della mobilità sanitaria – fenomeno che di solito è associato negativamente alla carenza o inefficienza di alcune realtà regionali rispetto ad altre. Alla luce di quanto è emerso appare chiaro che il percorso terapeutico esige continuità di cura ecorretta identificazione della popolazione target. “Nell’ambito del trattamento della patologia spinale degenerativa uno dei provvedimenti più urgenti riguarda la creazione di uno strumento per la definizione degli indicatori clinici dei risultati e l’istituzione di protocolli di reclutamento e controllo dei pazienti, un organismo che generi la sinergia delle società scientifiche, dei Dipartimenti di Bioingegneria dei Politecnici interessati, e delle principali ditte di strumentazione spinale, sotto l’egida delle Regioni e del Ministero della Sanità – dichiara Fornari – La finalità principale potrebbe riassumersi nella creazione di un Registro Italiano della Chirurgia Spinale, in cui convergano i dati clinici, economici e tecnici relativi alla chirurgia spinale “strumentata”, per cui sarebbe necessario creare un apposito sito web accessibile a tutti. Si tratterebbe di un’iniziativa di sicuro rilievo a livello internazionale in un settore in pieno boom a livello Europeo. Dall’analisi degli strumenti terapeutici disponibili e dei risultati clinici potrebbero, così, più chiaramente emergere comportamenti tali da ottimizzare i risultati clinici e generare formidabili economie di spesa. Questo programma si potrebbe avvalere della collaborazione di ricercatori, clinici, marketing manager, studenti, borsisti sostanzialmente a costo zero, con la possibilità di creare uno strumento informatico vendibile a terzi (altri paesi o società della Comunità Europea)